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Hellblade e la morte permanente: giocatori, state esagerando!

Ci risiamo, siamo di nuovo alle solite. Ormai è nota la notizia che in Hellblade: Senua’s Sacrifice ci sia la morte permanente, ovvero dopo un numero imprecisato di decessi il videogame cancella automaticamente il salvataggio di gioco obbligando gli utenti a ricominciare da capo l’intera avventura. Questa scelta è coerente con l’intera esperienza in game, ovvero la volontà dei Ninja Theory di dare un reale peso alla fine della vita, legandola indissolubilmente alla psicosi della protagonista e creando così un profondo collegamento anche al percorso narrativo, vera croce e delizia dell’intero prodotto. Ovviamente quando un gioco arriva a conquistare il grande pubblico, la cui maggior parte è composta perlopiù da persone che non conoscono certe dinamiche del settore, è normale che si vadano a creare disguidi o incomprensioni.

Hellblade Senua's SacrificeCome nel caso di Mass Effect le critiche si sono sprecate, portando anche a reazioni veramente esagerate e, visto che stiamo parlando di una casa di sviluppo davvero talentuosa, vogliamo impedire che sia costretta a fare quel passo indietro che ha dovuto fare persino il colosso di Bioware. Ci sembra scontato dirvi che le reazioni degli utenti ci sono sembrate parecchio esagerate: chi si lamentava di voler essere avvertito prima così da evitare l’acquisto del titolo, chi ha già avviato petizione per rimuovere questa particolare meccanica, e chi invece è frustrato per “l’eccessiva” difficoltà del titolo. Ovviamente i giudizi, se espressi nell’ottica soggettiva di chi non ha tempo per poter rigiocare un videogame, sono sempre ben accetti, e nessuno avrà mai da ridire sotto questo aspetto. Contemporaneamente a questo particolare ragionamento però c’è un’altra scuola di pensiero, ovvero quella di analizzare in maniera critica e costruttiva il modus operandi dell’esperienza, contestualizzando quindi questa particolare scelta della software house nell’inserire la morte permanente all’interno dell’avventura.

I Ninja Theory hanno avuto coraggio. Se collocata in maniera adeguata, la morte permanente diventa quasi un elemento oggettivo nella valutazione, poiché rappresenta, senza ombra di dubbio, una soluzione di design moderna e funzionale nel legare alla perfezione le varie meccaniche di gioco al complesso arco narrativo che vi accompagnerà nel caos mentale della giovane Senua. Pretendere che il team di sviluppo si privi di questa particolare scelta è sintomo di un approccio piatto e la dimostrazione che il giocatore medio valuta un’opera multimediale solo ed esclusivamente guidato dai suoi gusti personali ed esigenze, lasciando dunque perdere tutto il lavoro che c’è dietro ad un videogame, a partire dalle scelte di gameplay fino ad arrivare anche a quelle artistiche che, fin dall’alba dei tempi, sono quelle che differenziano i vari videogiochi che tanto amiamo. La software house ha chiarito da subito che l’intento con Hellblade: Senua’s Sacrifice non è quello di divertire il giocatore, ma è quello di raccontare la storia di un fenomeno psicologico e patologico che fa breccia nella mente umana fino a portare una giovane donna alla follia vera e propria.

Tutto questo ragionamento viene ulteriormente rafforzato se pensiamo al concetto di Tripla I, ovvero un gioco che si va a posizionare esattamente a metà tra gli indie ed i normali Tripla A. I Ninja Theory hanno deciso di essere liberi di creare il gioco che più credevano adatto ai loro gusti, trovando il giusto compromesso tra qualità, risorse spese per creare il prodotto, e costo di vendita al pubblico. Gli utenti dovrebbero solo prendere la consapevolezza che alcune esperienze, nonostante quello che si voglia credere, non sono appropriate per le loro corde, e dunque forse sarebbe stato preferibile lasciar perdere o informarsi meglio prima di effettuare l’acquisto. Il compito del giornalismo videoludico è quello di creare una coscienza, tentare di ricondurre alla ragione quando si è perso il filo logico di una determinata avventura o, addirittura, indicare alla maggioranza del grande pubblico quando è sfuggita la contestualizzazione di determinate scelte delle software house. La soluzione più facile sarebbe quella di smettere di parlare dei videogiochi come, appunto, semplici “giochi”, ma di iniziare a comprendere ed analizzare ciò che è in realtà: un mezzo di intrattenimento virtuale libero di esprimersi come meglio crede e no come vuole la massa.

Patrizio Coccia
Patrizio non era ancora nato quando entrarono in casa la Super Nintendo e Super Mario Bros. Pochissimi anni dopo, insieme a lui, arrivò anche la Play Station, e fu tutta un'altra storia. Aveva 4 anni quando a malapena riusciva a tenere il controller tra le mani, ma non mollò più la presa, imparando a giocare a tutti i generi. Appassionato di musica rap, film fantasy, e con un passato da writer, predilige indiscutibilmente i giochi di ruolo, fortemente affezionato alla serie di Kingdom Hearts di cui conserva l'intera collezione, spin-off inclusi.

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