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Army of the Dead – Recensione della nuova epica fatica di Zack Snyder

Ritrovarsi nel 2021 a scrivere la recensione di un film come Army of the Dead risulta curioso, curioso alla luce del fatto che un film del genere, che basa tutto il suo potenziale sugli zombie, non si allinea con quelli che sono gli attuali trend del mercato cinematografico o le mode in atto, improntando un ragionamento di stile che si basa moltissimo sulla fiducia del suo regista, e sul potenziale di una storia così. Il pubblico dunque viene tenuto fuori dalla concezione della pellicola, il pubblico inteso come “gusto contemporaneo”, dato il “periodo zombie” ha avuto un suo apice passato con una conseguente e progressiva discesa. Resta dunque interessante vedere dove si andrà a parare e soprattutto se il lavoro, nella sua totalità, riuscirà a sorprendere un tipo di spettatore che negli anni ha dimostrato sempre meno interesse in merito, sempre meno paura e meno sorpresa verso opere di questo genere, ricordandovi che lo trovate su Netflix.

Army of the Dead, una recensione anacronistica 

Al centro di questo Army of the Dead, diretto da Zack Snyder (regista che ultimamente ha fatto moltissimo parlare di sé per via di tutta la faccenda legata alla gestazione e costruzione di Justice League), troviamo una sorta di pandemia zombie dalle caratteristiche piuttosto classiche, anche se gestata in un modo che fin dalla primissima sequenza apre a tutta una serie di domande. Gli eventi, nel loro casuale avanzamento, conducono il tutto a Las Vegas, unico centro nevralgico in cui questi non morti si sviluppano senza freno. L’umanità quindi decide di isolare la città, di porla in una quartantena, tentando di analizzare la situazione e di fermare il tutto, limitandolo ad un caso isolato in un’area specifica. La rapidità con cui il tutto si diffonde rappresenta il primo tassello fondamentale di questo film, ed è importante parlarne in una recensione. Tutti vengono colti impreparati, e nella scintilla iniziale si tenta di salvare il salvabile. 

Army of the Dead

Quindi il mondo, dopo aver tentato di bloccare la situazione se ne sta a guardare, riflettendo su come agire, e discutendo in merito. La città diventa un sorta di area chiusa, una zona invalicabile in stile Stalker ed off-limits in cui non è permesso accedere a nessuno, onde evitare sia la morte, sia la diffusione di questa sorta di virus. Las Vegas, però, resta comunque una città piena zeppa di denaro, antica gloria fondativa delle sue radici, le persone sono fuggite ma la maggior parte dei dollari sono rimasti lì, sotto gli occhi di tutti, senza riuscire a trovare un modo per agire in merito. 

Parliamo della trama di Army of the Dead in questa recensione, la quale si apre proprio da qui, con quello che potremmo definire il protagonista principale, Scott (Dave Bautista), il quale in seguito alla propria salvezza viene contattato da un figuro indefinito, Hunter, con contatti anche in alto nel governo americano. Questo gli propone di riunire una squadra che abbia il coraggio e le capacità di accedere oltre le mura di Las Vegas e recuperare 200 milioni di dollari custoditi nel caveau di un casino.

La prima parte del film, ricalcando lavori di genere differente come Ocean’s Eleven, si costruisce sul riunire questa squadra, incontrando vecchie amicizie e cercando di puntare su esperti per le varie situazioni che si pareranno davanti. Ogni singolo personaggio è disegnato attraverso una caratterizzazione ben riconoscibile fin dal principio, sia dal punto di vista estetico che non. Ci sarà la donna invaghita di Scott, l’esperto scassinatore, il blogger spavaldo reinterpretato in base al contesto degli zombie… Inoltre la narrazione punta moltissimo sul rapporto tra il protagonista e la figlia Lily (Nora Arnedezer), legati dal reciproco amore verso una persona che hanno perduto. Dalla disperazione, quindi un team di persone che s’imbarca in una folle spedizione ai limiti del surreale, con l’occhio vigile dell’America, metaforizzata nel personaggio di Martin (Garret Dillahunt).

Si va a Vegas!

Trattandosi di un lavoro firmato da Zack Snyder ogni singola inquadratura sarà disegnata dal suo stile più caratteristico (amato e odiato), ponendo le basi estetiche del film in una continua alternanza tra epicità saturata e richiami al cinema di genere ed ai precedenti lavori del regista. Questo particolare approccio, però, lo vediamo svilupparsi anche nella resa generale degli eventi, i quali oscillano di continuo tra l’eccesso coordinato e finanche trash (parlando specialmente dei colpi di scena e della messa in scena stessa) e un certo tipo di consapevolezza soggettiva che sfuma continuamente nella ricerca cromatica. Army of the Dead ne risulta come un film estremamente fumettoso nel suo parlare al pubblico, folle, colorato ed anche fresco per alcune cose. Molto affascinante anche l’ambientazione in cui si muovono i vari personaggi, pronta a rompere con le regole più classiche e ad arricchire le varie inquadrature quando possibile.

Army of the Dead recensione

Il fatto di aver centralizzato l’anima della pellicola intorno agli zombie è stato sicuramente un rischio, anche se alcune scelte fotografiche, di trucco, e di sceneggiatura, riescono a mantenere l’attenzione dello spettatore fino alla fine. Resta dunque affascinante la resa generale di questi mostri, e del modo in cui sono stati realizzati, disegnati ed utilizzati, con trovate che in molti frangenti sfiorano sì il trash, anche se allineato con il contesto urbano in cui tutto avviene. Quello cui assistiamo nel corso di Army of the Dead incuriosisce e non si sbilancia troppo nello spiegarsi, disegnando un ritmo generale altalenante, ma leggero, fatto di ombre e non detti. Un’opera che quindi attinge da parecchie altre cose, rielaborandole in un ragionamento che non abbraccia soltanto la paura, ma che anzi cerca di sviluppare le sue possibilità osando per rinfrescare qualcosa che tutti conosciamo, ed al tempo stesso, cercando di rendere credibili ed attuali, in un certo qual modo, le conseguenze a cui tutto conduce. Restano tutti gli stilemi più classici del caso, resta l’eroe, resta l’antagonista metaforizzante un ragionamento nazionale, resta l’egoismo umano, la sete di potere, resta la sincerità dei sentimenti e dei legami, resta la follia di un’impresa che mette in luce alcune cose, adombrandone moltissime altre.

Army of the Dead

8

Con questo Army of the Dead, Snyder conferma nuovamente il suo modo di fare cinema in un trattato d'amore verso il genere di appartenenza della pellicola, imbastendo al tempo stesso un tentativo di riportarlo in auge con uno stile abbastanza interessante. Moltissimo di quanto visto resta super classico dall'inizio alla fine, anche se gli spunti e non i detti arrivano ad incuriosire e divertire. Si parla proprio di questo, in fondo, di un prodotto cinematografico riconoscibile ma anche incentrato sul divertimento, che sa intrattenere fino alla fine, pur risultando anacronistico dal punto di vista del mercato. Il tutto trascinandosi dietro alcuni elementi che meriterebbero maggior approfondimento, ma che comunque risultano coerenti con la resa generale.

Nicholas Massa
Adora i videogiochi e il cinema fin dalla più tenera età e a volte si ritrova a rifletterci su... Forse anche troppo. La scrittura resta un'altra costante della sua vita. Ha pubblicato due romanzi (a vent'anni e venti quattro) cominciando a lavorare sul web con varie realtà editoriali (siti, blog, testate giornalistiche), relazionandosi con un mondo che non ha più abbandonato.

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