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Code Vein – Recensione, Bandai Namco si lancia nel mondo dei Souls-Like

Fin dalla sua primissima presentazione nell’ormai lontano 2017, Code Vein ha destato molte preoccupazioni da parte di critica e pubblico. Il Souls-Like di casa Bandai Namco non sembrava infatti versare in buone condizioni e di lacune era possibile vederne a dozzine, sia in termini tecnici che ludici, una situazione a dir poco critica che portò molti a temere per il peggio. Nonostante il sempre più dilagante pessimismo, il team non si volle però dare per vinto e anzi, nel corso di questi ultimi mesi, ha lavorato alacremente per individuare una giusta direzione da intraprendere con il suo ambizioso progetto.

Effettivamente, vista la situazione in cui l’opera versava, la società nipponica non ha potuto far altro che togliere temporaneamente i riflettori dal suo nuovo pupillo, tenerlo lontano da occhi indiscreti e prendersi più tempo per migliorarlo nelle sue meccaniche. Il tempo delle congetture e dei timori è però finito e finalmente ci è stata data l’opportunità di saggiare con mano l’intera esperienza offertaci dalla produzione, un lavoro che abbiamo analizzato con attenzione per identificarne pregi e difetti, e fortunatamente possiamo confermarvi fin da subito che il tempo extra concesso agli sviluppatori ha dato i suoi frutti.

Vampiri alle prime armi

Code Vein si caratterizza per una sceneggiatura che molti potrebbero facilmente ricondurre al più classico degli shonen. Il mondo è stato distrutto da un improvviso cataclisma e buona parte dei sopravvissuti si sono tramutati in veri e propri vampiri assetati di sangue. Un utilizzo moderato e costante delle preziosissime gocce di sangue sparse per il globo ha permesso a questi nuovi esseri, chiamati Redivivi, di sopravvivere mantenendo intatta la propria psiche.

Creature immortali, esseri che una volta uccisi possono rinascere dalle proprie ceneri (seppur privi di qualsivoglia ricordo del passato), soldati dalle incredibili capacità necessari per affrontare le terrificanti creature divorate dalla fame di sangue che oramai appestano ogni luogo e per proteggere i pochi umani rimasti in vita, tenuti al sicuro da ciò che è rimasto dei governi mondiali, in cambio di vitali trasfusioni di sangue. Un mondo allo sbando, insomma, un Inferno fatto di faide interne e pericoli a ogni angolo in cui anche il nostro alter-ego digitale dovrà sopravvivere: redivivo risvegliatosi in un luogo di cui non ha memoria e senza il minimo ricordo della sua vita passata, ma affiancato da una prosperosa donzella chiamata Io e svestita in tutti i punti giusti che, esattamente come noi, non avrà alcun ricordo di chi sia o del perché si trovi in nostra compagnia. Parlando di un Souls-Like, la prima grande differenza che abbiamo notato rispetto ai più famosi esponenti del genere riguarda proprio la componente narrativa.

Il gioco, infatti, abbandona completamente quel concetto di vedo/non vedo dove il pathos scenico è tutto narrato nelle descrizioni d’oggetti e nello studio delle ambientazioni, per puntare piuttosto su una sceneggiatura a tutto tondo fatta di personaggi secondari, dialoghi, colpi di scena, antagonisti e cutscene. L’avventura presenta tutti i cliché che anni e anni di manga e anime ci hanno tramandato, ma una volta giunti ai titoli di coda ci siamo sentiti più che soddisfatti. Le vicende narrate in-game mettono in pieni un intreccio narrativo piacevole da seguire, in particolare grazie a una vasta gamma di personaggi che nei loro stereotipi riescono comunque a farsi apprezzare, il tutto anche grazie ai vari ricordi che potremo scoprire giocando. Infatti, in ognuna delle mappe che potremo esplorare, saranno presenti numerosi cristalli – spesso anche ben nascosti – rappresentanti frammenti di ricordi che una volta raccolti ci permetteranno di rivivere le memorie di coloro i quali ci circondano.

Code Vein

Nonostante tale attività non sia necessaria al completamento dell’avventura, vi consigliamo di dedicare anima e corpo alla ricerca e raccolta di queste memorie perdute, le quali vi permetteranno di entrare in maggior sintonia con i vari compagni che incontrerete lungo il vostro cammino, così da scoprire succosi retroscena utili per avere un quadro generale della situazione ben più chiaro. Come facilmente immaginabile, l’opera non manca poi d’offrire varie scene spiccatamente esagerate e contraddistinte da quel gustoso tocco nipponico che non guasta mai, anche se, sinceramente, almeno questa volta avremmo preferito un protagonista non affetto da mutismo. A risentire della nuova struttura scenica è invece il mondo di gioco, lasciato un po’ da parte e piuttosto povero in termini di lore, un vero peccato se si considera che alcune ambientazioni appaiono semplicemente meravigliose e potenzialmente capaci di raccontare interessantissimi retroscena.

Una questione di sangue

Come detto poco sopra, ludicamente parlando Code Vein rientra nel sempre più vasto genere dei Souls-Like, ma in realtà basta poco per notare tante differenze capaci di dargli una sua identità unica e inimitabile. Alla base abbiamo un sistema di gioco che ricorda sotto ogni più piccolo aspetto quanto visto nei Souls targati From Software, con vaste e intricate mappe da esplorare piene zeppe di nemici, segreti, scorciatoie e così via. Abbiamo dei particolari boccioli da far fiorire che rappresentano i falò, possiamo recuperare preziosissima vita usando pozioni (potenziabili tramite specifici oggetti nascosti), sconfiggendo nemici si ottiene una particolare valuta chiamata foschia necessaria per salire di livello così da migliorare le proprie statistiche e, nel caso in cui dovessimo venir sconfitti, perderemo tutta la preziosa foschia faticosamente raccolta. Anche in termini di combat-system il feeling generale rimane molto familiare, tra schivate, attacchi, parate, parry e backstab da effettuare tenendo sotto controllo le barre di salute e stamina, il tutto affiancato poi da una gran quantità d’armi e vestiti equipaggiabili. Il primo grande punto di distacco tra Code Vein e i titoli di casa From si riassume nel companion che ci porteremo dietro. Al contrario di un Dark Souls in cui la maggior parte dell’avventura viene generalmente vissuta in solitaria, in questo caso verremo infatti costantemente accompagnati da un prezioso alleato mosso dall’intelligenza artificiale o da un altro giocatore in carne e ossa. Nel corso dell’avventura incontreremo numerosi compagni che potranno affiancarci, ognuno con le sue caratteristiche, armi e abilità, un particolare che rende quindi molto importante valutare quale sia l’alleato migliore da portarsi dietro a seconda della situazione. Fortunatamente, possiamo subito farvi tirare un lungo sospiro di sollievo rassicurandovi sull’IA amica, la quale si è comportata molto bene nel corso del nostro lungo viaggio. I tanti fratelli e sorelle d’armi che ci siamo portati dietro hanno sempre contribuito con impegno in battaglia dandoci manforte durante gli scontri e rivelatisi capaci di salvarci la pellaccia anche nei momenti più critici.

Proprio questa peculiarità, però, ha portato alla luce un’esperienza decisamente meno difficoltosa di quanto ci saremmo aspettati e che in varie situazioni abbiamo potuto affrontare con generale tranquillità. Non fraintendeteci, in altre occasioni ci siamo ritrovati innanzi a fasi ludiche assai ostiche durante le quali il contatore dei Game-Over è schizzato alle stelle, ma il grande aiuto che gli sviluppatori hanno deciso d’offrirci ci ha permesso di vivere ogni scontro con maggior serenità. Vuoi per la possibilità di essere rianimati, vuoi per la chance di vedere il nostro alleato trasformarsi nel bersaglio prediletto del nemico, siamo avanzati d’ambientazione in ambientazione senza incontrare mai nessun’ostacolo veramente capace di metterci in crisi e varie sezioni che in solitaria avrebbero saputo crearci enormi grattacapi sono state superate senza troppe difficoltà. Anche le boss-fight hanno risentito della scelta, con scontri sempre piacevoli – anche grazie ad avversari spesso estremamente veloci e versatili – ma che solo in qualche rara occasione hanno saputo bloccare in maniera prolungata la nostra avanzata.

Altro particolare elemento che differenzia Code Vein da ogni altro Souls-Like affrontato riguarda le classi, qui chiamate “Blood Code”. La creatura di casa Bandai Namco si caratterizza infatti per la presenza di numerose specializzazioni equipaggiabili in qualsiasi momento tramite un semplice menù e capaci di modificare completamente le statistiche del nostro alter-ego digitale. I Blood Code sono presenti in gran quantità e offrono tutti varie unicità, tra cui poteri sbloccabili e armi utilizzabili ben diversificate. La decisione di non legare il giocatore a una specifica classe si è rivelata indubbiamente vincente, con quest’ultimo che si ritroverà a poter personalizzare il proprio stile di combattimento più e più volte, il tutto in nome della sperimentalità più sfrenata, così da capire quali specializzazioni siano più indicate alle proprie necessità. Inoltre, le varie abilità esclusive di ogni classe rendono il combat-system ancor più ricco e variegato, con accesi scontri dove spesso e volentieri abbiamo sfruttato tutto ciò che era in nostro potere per mettere alle strette il nemico. Parlando di personalizzazione, merita poi una menzione tutta sua il sistema di creazione del nostro protagonista, così ricco e vario da averci lasciati davvero senza fiato. Le varie modifiche applicabili sono talmente numerose da aver già permesso ai più smanettoni di andare a ricreare famosi personaggi d’anime, manga e videogiochi curati nei più piccoli dettagli, un’apprezzatissima nota di merito per un gioco dove il nostro alter-ego digitale sarà sempre ben visibile in prima linea.

Code VeinCome facilmente immaginabile, oltre a poter aumentare di livello, potremo anche potenziare armi e armature tramite particolari materiali tanto utili quanto rari, senza contare la presenza di un piccolo hub in cui per riprendere fiato, fare il punto della situazione, chiacchierare con i nostri compagni, acquistare nuovo equipaggiamento o crearlo con le nostre mani utilizzando i materiali raccolti nel corso di qualche missione principale o secondaria. Di tanto in tanto potremmo inoltre imbatterci in particolari oggetti del vecchio mondo, cimeli da regalare ai nostri compagni per ottenere in cambio preziose scorte utilizzabili in battaglia. Da un punto di vista più spiccatamente grafico, Code Vein non fa purtroppo gridare al miracolo, con un colpo d’occhio genere non proprio al passo con i tempi. Texture poco rifinite, conta poligonale non sempre al top e ambientazioni alquanto spoglie vengono così affiancate da bei giochi di luci e ombre e da un art design per mostri e ambientazioni dai tratti affascinanti. Parlando di frame-rate, la nostra Playstation 4 base ha faticato in più di un occasione a mantenere una stabilità di 30 fotogrammi al secondo, ma fortunatamente la situazione non è parsa tanto destabilizzante da aver compromesso la nostra partita. Parlando della mappa di gioco, inoltre, i vari luoghi che potremo visitare si caratterizzano anche per un apprezzabile level design che esplode in alcuni specifici ambienti, veri e propri labirinti fatti di cunicoli, scorciatoie, passaggi segreti e vie secondarie. Abbiamo invece ben poco da dire nei confronti del comparto sonoro, caratterizzato da un ottimo doppiaggio – disponibile sia in inglese che in giapponese – e da una colonna sonora ricca di tracce memorabili.

Code Vein

8.3

:Giunti al momento della verità, non possiamo far altro che promuovere Code Vein con però qualche remora di contorno. Il Souls-Like di casa Bandai Namco ha personalità e carisma, un prodotto che segue le linee guida del genere andando poi però a stravolgere la formula nel momento in cui si entra in contatto con il vero cuore pulsante dell’esperienza. Il combat-system appare divertente, fluido e stratificato, il tutto anche grazie alle numerose possibilità di personalizzazione del proprio stile di gioco che arricchiscono ancor di più le possibilità date all'utente di turno. La componente narrativa, più diretta e molto meno basata sulla lore, si fa seguire con piacere per tutta la durata dell'avventura, seppur alla fine dei conti sia il mondo di gioco a farne le spese, apparendo purtroppo poco valorizzato, mentre il compagno che ci seguirà nel corso della partita ha saputo rivelarsi un valido alleato. Di contro, però, la sua presenza ci è parsa anche un po’ ingombrante, con un livello di difficoltà ancora capace di mettere in crisi il giocatore ma comunque più permissivo di quanto ci saremmo aspettati. Sia chiaro, i nemici picchiano sempre come fabbri e abbassare la guardi significherebbe morte certa, ma numerosi scontri che si sarebbero rivelati assai ostici in solitaria si sono invece dimostrati ben più che abbordabili in compagnia. A chiudere il tutto ci pensa un lavoro grafico generalmente non proprio al passo con i tempi - che viene compensato solo parzialmente dal buon lavoro fatto in termini d'art direction - e un comparto audio di prim'ordine, sia per quanto riguarda il doppiaggio che per la colonna sonora.

Luca Di Carlo
Cresciuto a suon di videogiochi, cartoni animati e fumetti, ho potuto godere di un infanzia interamente basata sulla creazione del nerd per antonomasia, sempre intento ad affrontare sane partite videoludiche e alla costante ricerca di tutto il comprabile da poter mettere in bella vista su qualche mensola. Essendo poi anche un grande casanova, ho scoperto il mio primo vero amore dopo aver attaccato la spina della mia Playstation 1, ma non preoccupatevi Microsoft e Nintendo, nel mio cuore vi è spazio anche per voi.

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