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Curse of the Dead Gods – Recensione, fame, potere, gloria e conseguenze

Da un po’ di tempo a questa parte la difficoltà è tornata a essere un elemento non soltanto centrale nell’approccio del giocatore medio, ma anche uno strumento commerciale con il quale attrarre nuovi appassionati o semplicemente consumatori. Il dover affrontare una sfida, magari apparentemente insormontabile, o comunque che riesca a mettere a dura prova, resta dunque un’attrattiva che, da un lato contribuisce alla costruzione di un’interazione richiedente impegno ed attenzione, e dall’altra però potrebbe finanche precludere tutte le possibilità di divertimento, a coloro che invece si approcciano al mezzo ludico con intenzionalità più leggere e magari anche rilassanti. Il saper dosare la situazione, dunque, risulta al giorno d’oggi fondamentale nella costruzione delle varie esperienze che si vanno ad acquistare, soprattutto quando la ripetitività di alcune circostanze potrebbe stuccare molto velocemente o condurre a frustrazione personale. Con Curse of the Dead Gods, sviluppato da Passtech Games e adesso approdato su PS4, ci troviamo davanti ad un titolo che fin dall’inizio non aggredisce del tutto, fornendo tutta una serie di spunti che, se approfonditi, riescono a scrollarsi di dosso qualche deficit classico.

Approcciarsi a un roguelike non è mai una cosa semplice, sia che si conosca il genere, sia che non lo si abbia mai affrontato. Si parla di titoli che non soltanto riescono a mettere a dura prova le abilità soggettive del giocatore, ma che sono contraddistinti da linguaggi ben precisi e, in molti frangenti, piuttosto specifici. Ognuno di essi, infatti, oltre ad offrire una manciata di elementi derivativi dal genere stesso e immediatamente riconoscibili, gioca le sue carte principali e distintive attraverso le caratteristiche che compongono il mondo di gioco e le sue insidie. Inoltre la reiterazione degli stilemi di genere non basterà mai a soddisfare quella fetta di pubblico abituata a consumare questi videogiochi incentrati su un’immediatezza che deve subito distinguersi da tutti gli altri prodotti precedenti e sul mercato, anche attingendovi un minimo. 

Curse of the Dead Gods risulta estremamente riconoscibile fin dal principio, questo sia per via delle dinamiche che aprono i suoi iniziali sviluppi, sia per via del modo in cui si viene introdotti alle vicende di trama. Questa riconoscibilità generale può essere sia un pregio che un difetto, anche perché se da un lato aiuta a muovere i primi passi in un contesto estremamente aggressivo e lacerante, dall’altro non si mostra troppo innovativo per certe cose. La facile lettura di alcuni elementi smorza una probabile eccitazione iniziale (in particolar modo negli appassionati del genere), aprendo una strada che sembra, nei primi istanti interattivi, fin troppo reiterare e attingere dal passato, arrivando, però, ben presto, a definire una propria e successiva identità.

Curse of the Dead Gods

Fama, potere e ricchezza ad ogni costo

La trama di questo titolo si apre con un uomo (ricercatore o sciacallo) che rimane chiuso in un antico tempio dalle fattezze riconoscibili, con chiari rimandi alla cultura dell’America latina, dei Maya o Aztechi. Non sappiamo chi sia, non sappiamo cosa voglia, e non conosciamo nulla della sua storia, però bisogna proseguire. Intorno a lui il silenzio e soprattutto l’oscurità. Questa resta uno degli elementi più interessanti e affascinanti di questo Curse of the Dead Gods. Il binomio luce/oscurità non è soltanto una caratteristica estetica del titolo, ma un vero e proprio elemento di gameplay, centrale non soltanto nella “visibilità” nell’area, ma direttamente collegato anche alle statistiche dei vari scontri che si andranno ad affrontare. 

Fin dal principio, e in ogni run, avremo con noi una torcia, questa farà luce nella zona immediatamente antistante al protagonista, e potrà essere utilizzata per accendere degli appositi bracieri posizionati nelle varie stanze. Questi hanno un raggio d’illuminazione molto più ampio ed è importante individuarli prima di ogni scontro. La questione luce/oscurità è opportunamente indicata da un simbolo a schermo, posto nella parte centrale in basso. Questo simbolo indica quando ci troviamo al buio oppure no, ricordando che se si deciderà di affrontare una stanza completamente immersa nell’oscurità, vi sarà un incremento considerevole della percentuale di danni subiti. Dunque il saper utilizzare questa torcia resta centrale in più occasioni, ricordandovi che si può far luce anche colpendo i nemici stessi, i quali prendono facilmente fuoco, anche se per pochissimo tempo. Il dover continuamente pensare a tutto ciò dinamizza incredibilmente le varie situazioni, gettandoci fin dall’inizio in un contesto che risulta abbastanza fresco.

I primi passi di Curse of the Dead Gods sono segnati da un tutorial che introduce, in maniera anche piuttosto invasiva e diretta, tutte le dinamiche di gameplay. Oltre a pensare a quanto detto sulla torcia e la luce, si tratta di un titolo con visuale isometrica, nel quale si dovrà avanzare di stanza in stanza, sconfiggendo i vari nemici, e raccogliendo o scambiando gli oggetti a disposizione (armi, reliquie, oro…). Il giocatore avrà dalla sua un’arma primaria da attacco ravvicinato (con la quale è possibile costruire combo singole o concatenate) e un’arma secondaria, da lunga o media gittata. Durante gli scontri potrete sia scegliere di attaccare in linea diretta, schivando e consumando gli appositi punti resistenza (da tenere continuamente d’occhio se si vuole sopravvivere), oppure parando e contrastando gli attacchi delle creature che dimoreranno i vostri tentativi. Al termine di ogni stanza vi sarà una porta da aprire e in seguito si aprirà una mappa attraverso cui è possibile scegliere la strada da prendere verso le prossime stanze. L’inserimento di una mappa che anticipa le stanze a seguire, con i vari premi custoditi al loro interno, obbliga ad affrontare il mondo di gioco dosando bene ogni passo in avanti, in base sia a quello che si vuole costruire con il protagonista, sia alle varie esigenze e casualità di ogni tentativo. 

Curse of the Dead Gods

Ogni run, ovviamente, risulta casuale nella sua struttura. Oltre a i vari nemici, i quali risultano immediatamente riconoscibili nel loro muoversi, soprattutto se si è un minimo avvezzi al genere roguelike, le stanze sono piene di trappole, anche qui dalle fattezze classiche e non troppo dissimili da quelle riscontrabili in altri titoli che si sono mossi sullo stesso genere. Ovviamente queste non impattano soltanto sul giocatore ma anche sulle stesse creature con le quali ci si scontra, dando luogo a una serie di sviluppi che, ancora una volta, spingono a tenere in estrema considerazione l’arena in cui ci si muove, disegnandola attraverso elementi della sfera strategica. Inoltre le varie stanze non differiscono soltanto per i premi, le creature e le trappole, ma anche attraverso altri elementi che possono essere d’aiuto: gli altari, ad esempio, sono gli “shopper” in cui, in cambio di oro ed altre cose, si può acquistare o migliorare ciò che si possiede. Lo scopo generale, quindi, resta sempre lo stesso: imparare a riconoscere le dinamiche centrali del mondo di gioco e soprattutto le varie insidie che lo disegnano, avanzare di stanza in stanza costruendo il personaggio di volta in volta in base all’esperienza raccolta morte dopo morte, e arrivare fino alla fine al boss.

In seguito ad ogni sconfitta, oltre ad una schermata estremamente dettagliata di tutto quello che avete fatto, anche a livello di percentuale, si finisce nei cosiddetti “Inferi”. Gli inferi sono l’hub centrale di Curse of the Dead Gods, hub nel quale si potrà rilassarsi, costruire degli altari attraverso cui facilitare i tentativi successivi e sbloccare dei miglioramenti permanenti attraverso i teschi di cristallo e gli anelli di giada raccolti fino a quel momento. Si può scegliere tra: Benedizioni degli Dei (vantaggi permanenti nel gioco), Armi abbandonate (ripristina la possibilità di trovare alcune tipologie specifiche di armi nelle run) e Doni Divini (consentono di aggiornare l’attrezzatura offerta dai reliquiari e sblocca più doni divini). Inoltre, scegliendo di inoltrarci in un nuovo tentativo, si potrà scegliere non soltanto di affrontare il tempio precedente ma di imbarcarsi anche negli altri, ognuno caratterizzato da elementi propri e sviluppi particolari.

L’obbiettivo resta dunque quello di avanzare ad ogni costo, non soltanto nei singoli templi, ma a attraverso di essi, completandoli tutti quanti mano a mano e rigiocandoli continuamente per migliorare e migliorarsi. Parlando della profondità generale, è importante sottolineare anche la presenza sia di un’inventario attraverso il quale fare il punto della situazione, sia di un bestiario legato ad apposite sfide atte a conoscere meglio le singole creature lungo la strada.

The world is yours, ma a caro prezzo

In Curse of the Dead Gods non dovrete soltanto fare i conti con un mondo di gioco estremamente restio al vostro avanzamento, costellato di pericoli e abbastanza orgoglioso da non lasciarvi troppo sguazzare nei vari premi ottenibili mano a mano, e come recita il titolo stesso avrete anche a che fare con una maledizione. Uno dei pochi elementi di trama diretti di questo titolo, infatti, vede proprio il protagonista esplorare nell’oscurità di questa struttura antica, in cui è chiuso, toccando un portale e venendo catturato da una strana ed indefinita forza che lo attrae a sé spingendolo a continuare. Questa è la condanna di chi vuole spingersi troppo oltre senza riflettere, un monito che da narrativo si trasforma immediatamente in uno degli elementi più curiosi di tutto il gioco. La maledizione è uno status continuamente presente ed inevitabile. È opportunamente segnalato sullo schermo attraverso una barra apposita, di colore viola, e si suddivide in 5 livelli. Questa barra si riempie sia se ci si imbatte in alcune particolari azioni, sia e soprattutto quando si avanza in game.

Curse of the Dead Gods

Praticamente ogniqualvolta si completa una stanza, in seguito al superamento della porta che conduce agli sviluppi successivi, il grado di maledizione aumenta di un po’. Il desiderio di esplorazione, di scoperta e di mettersi alla prova, in Cursed of the Dead Gods viene imbrigliato in questa specifica feature, in questa barra che aumenta di porta in porta. Ogni volta che questa si riempie, arrivando a toccare un nuovo livello, ecco che le regole del gioco si mescolano completamente e casualmente, ricevendo sia importanti malus (che potrebbero rendere le situazioni successive molto più complesse di prima) sia curiosi bonus da sfruttare obbligatoriamente. Inoltre può capitare di imbattersi in stanze appositamente costruite su questo status, stanze che da un lato guariscono restituendo punti vita, pagando però un prezzo sul quale è bene riflettere sempre. Il fatto di dover fare i conti con un contesto di gioco non soltanto aggressivo, ma anche imprevedibile nei suoi sviluppi strutturali, dinamizza incredibilmente ogni singolo tentativo, lanciando letteralmente i giocatori più curiosi nel buio più totale, sia tangibile che non, contribuendo a valorizzare un’esperienza che di volta in volta diventa sempre più particolarizzata, impegnativa e unica nel suo genere.

I lineamenti espressivi di Curse of the Dead Gods

Dal punto di vista grafico Curse of the Dead Gods è piuttosto ispirato, soprattutto quando si parla delle creature che lo abitano, degli sprite generali, delle piccolezze del menù e del tocco stilistico pseudo-fumettistico a dirigerne l’estetica. Purtroppo la stessa attenzione non è stata rivolta alle ambientazioni alle volte piuttosto spoglie e abbastanza ripetitive nei suoi assets, soprattutto quando si cominciano a raggiungere considerevoli ore di gioco. Questo, certamente, non va troppo ad inficiare su un’esperienza che, al contrario, investe tantissimo sul gameplay e sulle sensazioni che sa restituire pad alla mano. I fondali, comunque, in alcuni frangenti riescono a restituire la profondità necessaria a farti sentire addosso i freddi e polverosi geometrismi tutt’intorno. 

Dal punto di vista della trama, invece, ci troviamo davanti ad un titolo che non si espone più di tanto e che necessita una pazienza tutta propria di chi si inoltrerà fra le sue spire, cercando di andare oltre gli stereotipi di genere palesi che, almeno inizialmente, potrebbero non colpire più di tanto, ma facilmente cancellabili dalla profondità generale delle possibilità di crescita e scoperta offerte al protagonista. I richiami religiosi palesi, poi, non possono far altro che affascinare, pur nel loro essere elargiti con un microscopico contagocce.

Curse of the Dead Gods è un videogioco rogulike che da un lato getta le basi di un’esperienza di gioco estremamente annodata e profonda dal punto di vista del gamplay e dell’interazione, e dall’altro non si scompone più di tanto, ancorandosi agli stilemi di un genere che risulta chiaro fin dall’inizio, per poi dinamizzarli  in un’avventura che sa come tenere impegnati, senza però troppo coinvolgere dal punto di vista della scrittura generale.

Curse of the Dead Gods

7.5

Questo Curse of the Dead Gods è un roguelike puro nel suo porsi e finanche troppo legato agli stilemi più classici di genere. Sa essere spietato e sa come attrarre l'attenzione sia degli appassionati sia di coloro non abituati ai suoi modi. La fascinazione generale nei confronti di un contesto del genere, il mistero, i lunghi silenzi oscuri dinamizzati da trovate di gameplay che sanno rinfrescare, fanno di questo titolo uno spunto interessante e un'esperienza che, nel suo non osare troppo, sa intrattenere fino in fondo. Complice sia la lo stile generale, sia lo studio dettagliato di alcune sue dinamiche, sia il sound design pronto a proiettare in un mondo che risulta particolarmente complesso, pur nella sua semplicità di base.

Nicholas Massa
Adora i videogiochi e il cinema fin dalla più tenera età e a volte si ritrova a rifletterci su... Forse anche troppo. La scrittura resta un'altra costante della sua vita. Ha pubblicato due romanzi (a vent'anni e venti quattro) cominciando a lavorare sul web con varie realtà editoriali (siti, blog, testate giornalistiche), relazionandosi con un mondo che non ha più abbandonato.

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