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Distopia: arte assoluta o giustificazione di un cliché?

Col passare del tempo, aumentano sempre di più i videogiochi che descrivono in essi delle società diverse, malate, dove le regole da seguire per rimanere a galla sono fuori da ogni logica morale; in una parola: distopiche. In parole povere, si tratta di situazioni, luoghi e società, che sono esattamente l’opposto di quelli ideali. Il potenziale di questo tipo di titoli è enorme: in un videogioco dove regna la distopia, è molto facile dare sfogo alla propria fantasia, creando trame e vicende accattivanti. Non mi sorprende che decine di titoli che hanno attuato questo “escamotage”, abbiano avuto un successo enorme. La ribellione ad un sistema fuori controllo, la sopravvivenza a discapito della morte altrui, la vendetta per qualcosa di terribile che vi è accaduto, sono solamente alcuni esempi sui quali basano questo tipo di videogiochi.

Molti di questi, sono stati liberamente ispirati da alcuni romanzi scritti, come ad esempio l’eterno 1984 di George Orwell, che meglio di qualsiasi altro riesce a plasmare l’idea di una realtà non proprio desiderabile. Ci basti pensare a titoli come il famoso Watch Dogs di casa Ubisoft, oppure i due titoli di casa EA della serie Mirror’s Edge, e all’atipico action game di Dontnod, Remember Me: tutti ambientati in metropoli di stampo attuale ma con elementi “futuristici”, dove il governo tiene sotto scacco l’intera popolazione. Analogie dallo stesso romanzo, e per gli stessi elementi, possiamo ritrovarli nell’intrigante titolo indie Republique, che tanto ha incuriosito e richiamato i giocatori. Ovviamente ci sono vari tipi di distopie, ed alcune di queste ci fanno fare anche dei tuffi nel passato, ricomponendo anacronisticamente dei puzzle e rispondendo alla domanda “cosa sarebbe successo se..?“.

metro redux

Anche in questo caso, andremo a citare primo tra tutti un titolo (anzi due) tratto da un romanzo, stavolta del russo Dmitry Glukhovsky: Metro 2033 e Metro Last Light, ambientati in una Russia dove la superficie terrestre è stata devastata e resa invivibile dalla guerra nucleare. Un momento, qualcuno ha detto Fallout? Altro titolo di questa branca che è doveroso citare, è sicuramente Wolfenstein. Come non annoverare poi tra i capolavori distopici anche la saga di Deus Ex, o le sorprese di Arkane Studios col suo Dishonored? Senza dimenticarci poi dei tre titoli di Irrational Games (ormai chiusa) di Bioshock che, specialmente nel terzo capitolo, descrivono una società mentalmente deviata, diciamo “con la testa tra le nuvole”. In tutti questi giochi, nessuno escluso, la trama ha un ruolo fondamentale, ed è per questo che anche il genere avventura grafica (incentrato per la maggiore sulla storia) in alcuni casi si è servita del panorama distopico. In questo caso è doveroso segnalare l’interessantissimo indie Shardlight, ancora location post apocalittica, oppure la più nota saga di Deponia di Daedalic, che riesce a mostrare una realtà anti-utopistica a suon di risate.

deusex1Molti, moltissimi altri titoli sarebbero da annoverare, ma ormai penso di aver reso l’idea… e soprattutto di aver chiarito la domanda del titolo. Perché mai i panorami distopici sono diventati l’ordine del giorno? C’è davvero bisogno di descrivere qualcosa di surreale per raccontare una storia fuori dagli schemi? Il discorso è più arzigogolato di quel che sembra. A cavallo tra gli anni 90′ ed il primo lustro del 2000, si susseguivano moltissimi giochi di stampo storico, a partire dai classici FPS di guerra, fino ai giochi strategici che, con le loro campagne, seguivano passo passo gli avvenimenti che abbiamo studiato sui libri di storia. Se un giocatore odierno si guardasse alle spalle, vedrebbe tutto ciò come “semplice” o “privo di fantasia“, eppure chiunque abbia vissuto da giocatore tale periodo sarebbe pronto a giurare il contrario. Era dunque possibile raccontare storie, toccanti o eroiche, senza il bisogno di stravolgere l’intera visione del mondo, e senza aggiungere poteri sovrumani? Assolutamente si. Ok, come dicevamo la richiesta del medium videoludico è mutata, ma l’utilizzo di panorami distopici ha decisamente preso troppo piede, fungendo da mera “scusa” per giustificare l’aggiunta di feature o trame che altrimenti sarebbero al di fuori di ogni logica.

wehappyfew1Sarà un caso secondo voi, che tra tutti i titoli annunciati negli ultimi anni, la maggior parte di quelli più attesi rispecchia questo tipo di caratteristiche? Facciamo un passo indietro. Chi si ricorda l’assoluto stupore manifestato durante l’E3 al semplice video iniziale di We Happy Few? Oppure la standing ovation riservata alla prima apparizione di Horizon: Zero Dawn? O ancora la vera curiosità che avvolge The Surge? Andando a semplificare, sembra che per creare la trama di un videogioco gli sviluppatori cerchino “un problema da risolvere”, e per prima cosa lo collochino in una realtà distorta, passata, futura o contemporanea che sia. Sia ben chiaro, io ho giocato ed apprezzato tutti i titoli citati in precedenza, e sarò anche in prima fila per giocare quelli che arriveranno… Ciò che mi fa pensare è la quantità di titoli di questo tipo che vengono sfornati, e di come a volte altri tipi di argomenti diventino una “seconda scelta”. Lancio dunque una vera e propria sfida: sarà qualcuno in grado nei prossimi anni di tirare fuori un titolo ambientato nel presente e dove tutti i personaggi siano privi di super poteri (no, non mi riferisco a GTA)?

La fantasia non sta solo nel creare qualcosa di geniale, ma nel saperlo fare al momento giusto.

Infine, la risposta alla domanda del titolo: la distopia nei videogiochi è l’esatta fusione di entrambe le cose, dove il cliché narrativo di una società malata si fonde all’arte unica di saper plasmare tutto in modo lineare e sensato, senza esagerazione o paradossi. E’ proprio quando entrambe le cose si incontrano, che nascono veri e propri capolavori, gioielli imperdibili a prescindere dal loro genere. Già… perché in una mia visione utopistica, il vero videogiocatore apprezza qualsiasi genere di videogioco, con le sue preferenze chiaramente, ma tutti.

Gianluigi Crescenzi
Classe 90, invecchia bene tanto quanto il vino, anche se preferisce un buon Whisky. Ama l'introspezione, l'interpretazione e l'investigazione, e a volte tende a scavare molto più del necessario. Inguaribile romantico, amante della musica e cantante in erba, si destreggia tra hack n'slash, soulslike, punta e clicca e... praticamente qualsiasi altro tipo di gioco.

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