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Ever Forward – Recensione del puzzle game targato Patha Games

Come abbiamo avuto modo di dirvi tante volte, quello indipendente è un panorama videoludico che ha permesso a tanti piccoli team di lanciarsi nella realizzazione di produzioni pensate più per le nicchie che per il pubblico di massa, opere che a fronte di budget ridimensionati possono accettare di prendersi qualche rischio rispetto ai Tripla A più blasonati, spesso bloccati in un limbo di meccaniche “copia e incolla” a tratti sconfortante. Attraverso gli indie, generi poco propensi alla massa sono tornati in auge, capaci di tenere incollati allo schermo fedeli fanbase di giocatori desiderosi di poter provare esperienze ludiche sempre diverse e coraggiose, lì dove spesso è la sperimentazione ha rappresentarne il vero cuore pulsante.

Tra questi, figurano anche i puzzle-game, opere che salvo casi particolari – si pensi alla serie Portal – non sono mai riuscite a far breccia nel cuore del grande pubblico, restando conseguentemente ancorate a quelle affezionate nicchie di mercato sempre pronte per lanciarsi in qualche nuova avventura a tema. Questa volta, a tentare di conquistare il pubblico troviamo Ever Forward, titolo sviluppato dai ragazzi di Pathea Games, società divisa in due sedi, una a Chongqing in Cina e l’altra a Memphis negli USA, con quest’ultima in particolare ben conosciuta in quanto meritevole di aver portato alla luce il tanto amato My Time At Portia. Recentemente, anche noi di Game Legends ci siamo tuffati in questa intrigante esperienza e ora siamo pronti a darvi il nostro giudizio finale a riguardo.

Tra realtà e finzione

Maya è una piccola ragazzina risvegliatasi in un mondo dai tratti onirici e senza ricordi del suo passato, immersi in una gigantesca spiaggia affiancata da verdi colline e montagne fluttuanti, il tutto sovrastato da un immenso albero che torreggia in lontananza. Neanche il tempo di capire dove ci troviamo ed ecco che inquietanti radici rossastre cominciano a spuntare dal terreno, attorcigliandosi su tutto ciò che incontra il loro cammino. Come se ciò non fosse già abbastanza, alcuni improvvisi flash di memoria ci catapultano per brevi secondo in una realtà ben diversa da quella iniziale, circondati da fredde mura oramai sul punto di crollare. Ancor più confusi di prima, eccoci quindi nuovamente sulla spiaggia, questa volta in compagnia di uno strano cubo elettronico volante che ci seguirà ovunque andremo, determinati a scoprire chi siamo e dove ci troviamo. Partendo da questa intrigante premessa, andrà così delineandosi la storia di Ever Forward, attraverso la quale andremo ricostruendo la vita di Maya un pezzo alla volta, un’avventura che nel corso delle circa due ore e mezza necessarie per giungere ai titoli di coda ci lancerà in un racconto con spunti molto interessanti ma al contempo mai studiati e analizzati con sufficiente attenzione.

La sceneggiatura infatti non convince a pieno, in particolar modo per svariati dettagli lasciati in balia degli eventi, mai pienamente contestualizzati e abbandonati alla libera interpretazione del giocatore di turno, un vero peccato se si considera che con un po’ di lavoro in più ci saremmo potuti trovare innanzi a un intreccio narrativo emozionante e carico di pathos. Da un punto di vista più spiccatamente ludico, in Ever Forward ci ritroveremo a dover girare per la mappa circostante al fine di trovare dei non meglio specificati punti d’interesse, tra altalene, resti di edifici e giocattoli. Ogni qualvolta che giungeremo in uno di questi luoghi, verremo trasportati in una sottospecie di realtà alternativa in stile Matrix dove sarà necessario completare puzzle di varia natura per sbloccare una cutscene attraverso la quale scoprire nuovi dettagli sulla vita di Maya e avanzare così nell’avventura. I vari enigmi che andremo affrontando man mano che giocheremo si riassumeranno tutti nel dover attivare qualche specifico meccanismo tentando nel mentre di non farsi scoprire da pericolose sentinelle sensibili al suono, ma dalle capacità visive limitate.

Ever ForwardFortunatamente, ai semplici puzzle iniziali ne seguiranno di ben più complessi man mano che avanzeremo in-game, con nuove meccaniche che di volta in volta andranno presentandosi per complicarci la vita. Spostare un oggetto da un punto all’altro della mappa senza farsi vedere dai nemici non richiede molti sforzi, ma quando di mezzo ci si mettono sbalzi gravitazionali e meccanismi a pressione dove bisogna far combaciare armoniosamente ogni azione nel tempo giusto, ecco che la musica improvvisamente cambia. È indubbio che gli enigmi appaino come la parte meglio riuscita di Ever Forward, con una sfida di fondo sempre stimolante ma al contempo mai frustrante. Peccato solo che proprio la breve durata dell’esperienza non abbia permesso al team di sperimentare con maggior coraggio, lì dove ogni buona idea ludica implementata finisce velocemente con il diventare un elemento di contorno senza poter mai davvero sbocciare, costretta a dover lasciar spazio a qualche meccanica aggiuntiva. Parlando del comparto tecnico, il lavoro fatto ha saputo farsi indubbiamente apprezzare, con uno stile tanto semplice quanto efficace, in particolar modo grazie al sapiente uso della palette cromatica, caratterizzata da colori caldi e accessi quando esploreremo l’isola a cui faranno seguito ambienti ben più freddi e asettici nel momento in cui affronteremo i vari enigmi. Di buon impatto si è rivelata anche la colonna sonora, che con le sue melodie perfettamente amalgamante all’azione, ha saputo accompagnarci piacevolmente dall’introduzione fino ai titoli di coda.

Ever Forward

6

Una volta giunti alla conclusione di Ever Forward, appare chiaro come qualcosa non abbia purtroppo funzionato nel modo giusto. La risicata durata dell’esperienza non ha infatti permesso al team d’esprimersi con la giusta forza e, conseguentemente, ogni colonna portante dell’esperienza è andata risentendone il contraccolpo. Le intriganti premesse narrative e ludiche si sono così dovute scontrare con dei titoli di coda che arrivano troppo presto e che ci hanno lasciato un amaro retrogusto in bocca, con svariate domande rimaste aperte e poche meccaniche esplorate con la giusta attenzione. Certo, il titolo ha saputo far sfoggio di una veste grafica e sonora efficace, anche in funzione di una ricercata semplicità di fondo, ma ciò non basta per consigliarvi di lanciarvi alla volta dell’ultima creatura targata Pathea Games.

Luca Di Carlo
Cresciuto a suon di videogiochi, cartoni animati e fumetti, ho potuto godere di un infanzia interamente basata sulla creazione del nerd per antonomasia, sempre intento ad affrontare sane partite videoludiche e alla costante ricerca di tutto il comprabile da poter mettere in bella vista su qualche mensola. Essendo poi anche un grande casanova, ho scoperto il mio primo vero amore dopo aver attaccato la spina della mia Playstation 1, ma non preoccupatevi Microsoft e Nintendo, nel mio cuore vi è spazio anche per voi.

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