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Godzilla II – King of the Monsters – Recensione del nuovo film di Michael Dougherty

La sua enorme cresta dorsale spunta dal mare e si staglia come fosse una piccola isola rocciosa. Quando si erge dalle acque si fa ammirare in tutta la sua possenza. È una figura ancestrale, un dio da rispettare e venerare, che porta dentro di sé tutta la rabbia della natura contro l’uomo. Fronteggia gli altri Titani per rivendicare l’epiteto rispettabile di “Il re dei mostri”. Fin dal 1954 il mito di Gojira è giunto fino a noi attraverso i film che l’industria giapponese gli ha dedicato in tutti questi anni. Gojira è certamente il più rappresentativo dei kaijū, un vero e proprio mito, che da sempre divide lo schermo con altre creature più o meno famose. Questo mega lucertolone marino, risvegliato dalle radiazioni nucleari, è stato la metafora più ammirevole ed evocativa dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Ricordi e traumi indelebili che prendono forma e “rabbia” attraverso la rappresentazione di questa lucertola preistorica. Gojira è un dio, una figura mitologica, rappresentata nel corso dei film sia come mostro distruttivo ma anche come eroe inconsapevole dell’umanità. Gli adattamenti americani avranno modo di cambiargli il nome in qualcosa di più altisonante ed appetibile per la massa occidentale: nasce così il nome “Godzilla”. La proporzione è la seguente: ventinove film prodotti dalla Toho e tre (compreso quest’ultimo Godzilla II – King of the Monsters) lungometraggi americani. Dopo il pessimo e datato adattamento firmato Roland Emmerich – film che rendeva omaggio più alla passione catastrofica del regista e al concetto (limitato) di blockbuster americano degli anni novanta, dove le creature sono tutte sostanzialmente stereotipate –  nel 2014 arriva finalmente il rilancio ad opera di Gareth Edwards per ridare al lucertolone Giapponese il giusto onore e rispetto. L’appiattimento delle tematiche e la filosofia spiccia nel trattamento da parte degli americani per una creatura come Godzilla, lascia spazio – in questo nuovo adattamento – ad un discorso più sensibile verso le tematiche ambientali, ma soprattutto verso la caratterizzazione della divinità vera e propria. Il limite di quel film erano sostanzialmente le storie umane – più o meno convincenti –  che ruotavano intorno all’apparizione di Godzilla. A distanza di qualche anno dalla prima visione, rimane l’amaro in bocca nel ritrovare Aaron Taylor-Johnson che porta sulle sue spalle tutto il peso del suo ruolo principale (probabilmente non all’altezza) incarnando questo patriota con la famiglia coinvolta negli eventi scaturiti dal mostro e il combattimento interno per comprendere se questa creatura divina è più un aiuto o una calamità naturale distruttrice. Se il film Edward lasciava a desiderare per ciò che riguardava i personaggi umani, non peccava altrettanto di superficialità nella rappresentazione del suo protagonista più ingombrante.

Lo studio delle luci e degli ambienti crepuscolari, il fumo dei detriti che oscuravano il cielo, rivelavano con parsimonia la creatura protagonista, accrescendo l’attesa, fino al suo svelamento finale. Tutte queste accortezze facevano brillare di luce propria un film che avrebbe sicuramente riservato un approccio diverso al tipo di storia trattata, eppure era riuscito a mantenere una cura e uno sguardo intimo e personale. Edward metteva in scena tutta la sua bravura nell’inventare e manipolare forse tra le sequenze più belle mai viste per un film di mostri. La Cgi (che ancora oggi regge bene i segni del tempo) era dosata sapientemente e, giocando proprio su queste apparizioni parsimoniose in tutta la prima parte del film, facevano crescere l’attesa per lo svelamento conclusivo che avrebbe regalato ancora più stupore e sorpresa nel vedere Godzilla combattere contro le creature contrapposte definite “Muto”.

 

Godzilla riemerge dalle acque ma con qualche sorpresa in meno

Arriva dopo ben cinque anni (di cui Due solo per la lavorazione) questo ulteriore tassello di un universo ormai impostato sulla scia dei cinecomics più attuali. Godzilla II – King of the Monsters vede un cambio al timone di regia ad opera di Michael Dougherty che, a parte due commedie horror, fa il suo vero e proprio esordio con un film a grande budget. L’approccio – anche nei dettagli apparentemente più microscopici – è totalmente diverso dal predecessore. Non c’è una certa sensibilità o un senso dell’attesa ben prestabilito, ma solo la voglia sfrenata di far scazzottare i mostri il prima possibile. Sul piano narrativo c’è un’ulteriore involuzione, con l’aggiunta di frivolezze e stereotipi tanto cari ai blockbuster moderni: si veda per esempio l’elemento comico rappresentato dal personaggio di Thomas Middleditch, messo appositamente per alleggerire il tono con le sue esternazioni infantili. Per continuare con la solita famigliola di scienziati – che si perdono e devono ritrovarsi – che hanno studiato una tecnologia per controllare e richiamare i mostri, oppure la banale organizzazione occulta che sfrutta le risorse dei mostri stessi (in questo caso il Dna) per scopi personali (si pensi al più recente Pacific Rim per citarne uno a caso) e, non per ultimo, l’idea – abbastanza in voga – di attribuire ad un essere sovrumano la capacità di ridare equilibrio ad un particolare sistema (Thanos non sei l’unico). Edward, almeno, sapeva sopperire ad una frivolezza di fondo con uno spettacolo di creature rappresentate con garbo e con i giusti momenti enfatizzati con maestria. Dougherty, dal canto suo, tende a rimestare nel risibile e abusato canovaccio narrativo dei tanti monster movie incontrati, dove si alternano le solite fazioni tra buoni e cattivi che vogliono o far fuori il mostro principale sfruttandolo per meri tornaconti o, semplicemente, aiutarlo a riprendersi quando “inevitabilmente” avrà quel canonico mancamento che lo farà vacillare durante lo scontro finale. Non ci sono sfumature e transizioni che tengano, lo scopo principale è lampante e annunciato: arrivare il più velocemente possibile allo scontro fra esseri mostruosi tanto acclamato dal pubblico generalista (il tutto con un occhio puntato a quella gigantesca scimmia che risponde al nome di Kong).

Non ci sono momenti di attesa o situazione sospese che si prendono il loro tempo. In Godzilla II – King of the Monsters, fin dal primo momento, si fa sfoggio delle peculiarità più rappresentative dei mostri in questione e non si riesce a nascondere quella sana bramosia di fargli menare le mani frettolosamente. Purtroppo non sempre il lavoro della Cgi è fatto a dovere. Dopo due anni di produzione si vorrebbe rimanere incantati proprio come fu nel 2014 (per la texture dei mostri o per i fondali perfettamente amalgamati al resto), qui invece il lavoro sui dettagli è più convenzionale – a tratti stilizzato con un risultato più vicino all’animazione che ad un live action – c’è poca tangibilità e i fondali risultano abbastanza spartani, dando proprio quell’impressione deludente che abbiano girato tutto negli studios, al chiuso, senza contemplare dei veri esterni molto più realistici. Salvo due o tre momenti con alcuni frame tutto sommato suggestivi, il resto è abbastanza piatto e poco stupefacente, se non per regalare qualche ottimo spunto per un bel desktop da PC. Edwards usava sapientemente il gioco di ombre, con quel vedo/non vedo che aiutava molto nell’accrescere lo stupore dello spettatore senza fremere, fin da subito, nel dare uno spettacolo fine a se stesso o rimanere imbrigliato in quelle lotte senza fine tra pupazzi digitali. Era anche coadiuvato da una musica incalzante (tromboni e archi possenti) che sottolineavano all’occorrenza un gesto impetuoso o imprevisto di Godzilla, infondendo un’ulteriore sensazione di epicità e stupore, con l’intento innato di stamparci letteralmente quelle sequenze nel cervello. Qui la musica non viene sfruttata con lo stesso scopo, ma è una cornice abbastanza insignificante del contesto (come spesso accade) ed è un vero peccato. Come prima si accennava, gli snodi narrativi sono abbastanza abusati e prevedibili (frasi e discorsi ad effetto sentiti un miliardo di volte in film similari) a cui si va ad aggiungere un didascalismo pedante per ciò che riguarda la mitologia dei Titani e il discorso alla base, reiterato, che è quello di capire o meno se, tra le creature, ci sia un difensore dell’umanità o un mostro distruttore come tutti gli altri. Anche il personaggio di Ken Watanabe, che nel primo film aveva la funzione di rappresentare l’ammiratore inconsapevole, il nerd nascosto tra la folla di studiosi, qui viene abbastanza snaturato, accentuando questo atteggiamento che nel precedente film era interessante proprio nel suo essere “velato”, mentre qui è totalmente smaccato e ridondante (anche attraverso un pugno di battute non all’altezza, ma da ricollegarsi sempre alla solita concezione del blockbuster hollywoodiano). Il lavoro di Edwards era più raffinato. Ogni frame di Godzilla era una piccola invenzione visiva. Questo deludente sequel invece è tutto più impostato verso l’intrattenimento puro, verso lo spettacolo caotico e sbrigativo scevro da sottigliezze ingombranti per lo spettatore più attento. Un prodotto concepito per divertire in quel preciso istante ed essere dimenticato nel giro di pochi minuti una volta usciti della sala. Un seguito depotenziato e più frivolo rispetto al precedente, frettoloso nell’incastrare quel tassello per passare al prossimo capitolo, senza ambizioni o un vago segno distintivo di autorialità che possa prevalere sull’azione imperante, attua a coltivare un atavico approccio al film dal consumo immediato. Chi cerca solo questo non resterà deluso.

Godzilla II - King of the Monsters

6

Un sequel meno riuscito del precedente e più dedito allo spettacolo fine a se stesso. Una visione più spassosa dal punto di vista dell'azione, ma meno ricercato e appassionato per ciò che riguarda tutto il resto.

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