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.Hack// G.U. Last Recode Recensione

Sono passati quindici anni. La nostalgia ancora mi coglie quando teneramente ricordo la mia copia di .Hack//Infection stretta tra le mani videoludicamente giovani, ma desiderose di viaggiare verso nuovi mondi e di impugnare armi contro poteri immensi. Quello che avrei trovato in quel gioco non me lo sarei mai più dimenticato negli anni a venire. Capitolo dopo capitolo, Hack divenne a tutti gli effetti il mio titolo preferito e Kite, il suo giovane e inesperto protagonista, il personaggio a cui ancora oggi provo più affezione. All’epoca andavo pazzo per gli MMORPG (erano i tempi di Final Fantasy XI e il nascente World Of Warcraft) e negli anni a venire non mi ha mai abbandonato il sogno di immergermi in un mondo simile a quello di The World, attraverso uno di quei visori per la realtà virtuale che i vari personaggi di Hack//Liminality sfruttavano per entrare nel gioco. Cos’è ora quest’ultimo titolo che ho citato? Dovete sapere che nei primi quattro capostipiti della saga (Infection, Mutation, Outbreak e Quarantine), che vanno sotto il titolo di Project .Hack, era presente anche un DVD contenente uno dei quattro episodi di un anime, il quale, legato al gioco, narrava eventi paralleli a quelli della tetralogia con altri protagonisti. Questo perché il brand .Hack è un franchise transmediale che conta una serie numerosa di giochi, anime, manga e libri. Tutti trattano The World attraverso gli occhi di diversi personaggi che vanno a tratteggiare storie differenti, considerabili prequel e sequel.

Il prodotto di cui andremo a discutere è .Hack//G.U. che fa parte della seconda saga del brand (denominata .hack//Conglomerate) e che vede come prequel l’anime .Hack//Roots. La visione è consigliata, ma non obbligatoria: sarà possibile usufruire dei quattro capitoli (Rebirth, Reminisce , Redemption e Reconnected) anche senza aver visto nulla. Il gioco, infatti, avrà un inizio piuttosto chiaro che vedrà il nostro protagonista Haseo entrare in The World R:2, seconda versione dell’MMORPG più giocato al mondo sviluppato dalla CC Corporation (sì, CC sta per CyberConnect, e sì, si sono inseriti nel loro stesso gioco) dopo i disastri della prima tetralogia. Il nostro giovane e inesperto amico si ritroverà ben presto di fronte alla cruda realtà del gioco, infestato da PKers (Player Killer) che prendono di mira le nuove leve per infliggergli una cocente e sonora sconfitta (o morte, ma sempre figurata visto che ci si trova in un gioco online). La buona sorte, però, sembra essere dalla parte di Haseo e durante la disfatta, verrà prontamente salvato da Ovan, personaggio eccentrico che fin da subito sembra nascondere non pochi segreti. Così inizia la storia del nostro eroe che lo vedrà crescere e diventare un potente PKKers (Player Killer Killer), con l’intento di ripulire il gioco da quegli ambigui assassini. Purtroppo, la storia del PKK sarà tormentata dal ricordo della sua amica Shino, entrata, nel mondo reale, in uno stato di coma dopo essere stata sconfitta da un misterioso personaggio di nome Tri-Edge. Proprio quest’ultimo tassello rappresenta il motore delle peregrinazioni di Haseo per tutto il gioco, alla ricerca della verità, sebbene non sia questo l’inizio della nostra storia. Mesi dopo Haseo, divenuto il famigerato Terror Of Death, riuscirà a localizzare e combattere Tri-Edge che però si dimostrerà diverse spanne più forte e sconfiggerà l’eroe attraverso la nota tecnica “Fuga di Dati” o “Data Drain” (proprio quella della prima tetralogia), spogliandolo da ogni potenziamento e declassandolo fino al livello 1. Sarà proprio da qui che il nostro eroe dalla testa calda comincerà il viaggio che si dipanerà attraverso i quattro capitoli che giocheremo.

E’ importante sapere che .Hack//G.U. non è mai stato rilasciato in Europa. La prima tetralogia, per quanto ricca di spunti davvero interessanti (che sono stati presi e potenziati in questa saga), non è riuscita ad imporsi sul mercato, scoraggiando Bandai e costringendola alla drastica decisione di pubblicare nuovi capitoli della saga solo in Nord America e, ovviamente, in Giappone. Alla luce di ciò, possiamo facilmente capire che questa collection, denominata Last Recode, è a tutti gli effetti un nuovo prodotto per il nostro continente e sicuramente molti di coloro che lo giocheranno sono nuovi al titolo, forse addirittura alla saga stessa. In tal caso, è giusto che sappiate che ciò che avete di fronte è ben più di un semplice gioco. Hack, oltre a toccare diversi temi sociali, è nella sua struttura un esperimento curioso che possiamo definire un “metagioco”, cioè un gioco nel gioco. La nostra avventura non si dipanerà solo attraverso il mondo di The World (che nella sua seconda realizzazione possiamo vederlo dominato da uno stile steampunk), ma anche attraverso il forum del gioco stesso, siti di news e e-mail provenienti dai personaggi del gioco. Spesso dovremo “sloggare” dal gioco per controllare i vari forum (esterni o meno a The World) o la nostra casella postale, nella quale trovare informazioni su alcune meccaniche di gameplay, parole-chiave (di cui parleremo in seguito) o altre discussioni aperte funzionali all’avanzamento della trama, tutte rigorosamente aperte da altri utenti rinvenibili davvero all’interno del gioco. Il sistema operativo Mine OS, che va a sostituire l’Altimit della vecchia saga, è un concentrato di elementi interessanti che vanno a delineare il mondo nel quale vivono i protagonisti, ambientato nel 2017. E’ proprio attraverso i vari forum, le rubriche sulle notizie provenienti dal Giappone e dal mondo che possiamo inquadrare ciò che succede, che sia collegato agli strani avvenimenti che ruotano attorno a The World o meno. Questa componente del gioco è curata così tanto nei minimi dettagli che è possibile anche ritrovare una sezione apposita dove gli utenti pubblicano delle fan art riguardanti il gioco, che è possibile salvare ed utilizzare come sfondo del desktop.

Una volta entrati nel gioco, vestiremo i panni del nostro PG Haseo che sprovvisto della sua vistosa armatura e munito solo delle sue due lame dovrà farsi strada attraverso un mondo fatto di misteri celati, personaggi ambigui e strani eventi. Non ho alcuna intenzione di trattare della trama, in quanto esporla non farebbe che rovinarvi la sorpresa, senza contare che l’antefatto della storia vi è già stato narrato. Ciò che però posso tranquillamente dirvi è che la trama è il piatto non forte, ma fortissimo del titolo: gode di una grande profondità, affronta argomenti delicati ed è condita da interessanti turning point e personaggi parecchio interessanti. C’è da ammetterlo però, questi ultimi non sono proprio il massimo nelle prime ore di gioco dove si fa sentire la tipica stereotipatizzazione di molte produzioni giapponesi. Chi ha familiarità con questo tipo di prodotti e scuola di pensiero, di certo non si lascerà sopraffare da alcuni comportamenti portati all’estremo senza una razionale motivazione alle spalle. Chi, invece, non è abituato a divorare titoli di nipponica fattura si ritroverà probabilmente infastidito dagli atteggiamenti di qualcuno del cast. Le reazioni di Haseo, nelle prime ore di gioco, non sempre sono gradite ed empatizzare con il personaggio si rivela difficile; ciò non toglie che la sua caratterizzazione si evolve e la sua crescita diventa inesorabile. Lo stesso sarà anche per altre figure, e nell’arco dei tre giochi potremo essere spettatori del loro cambiamento… a patto però di riuscire a resistere alle prime fasi di gioco. Infatti, Rebirth (il primo, per intenderci), sebbene introduca alla storia, risulta un po’ l’anello debole della tetralogia che impallidisce di fronte alla bellezza della narrazione che ritroviamo negli altri due capitoli. Altri personaggi, invece, sono costruiti in modo a dir poco geniale. Uno tra questi è Sakubo, avatar utilizzato da due sorelle che cambia comportamento a seconda di chi lo sta utilizzando, sebbene nasconda un segreto ben più oscuro.

Altro aspetto importante e basilare, che rompe col suo predecessore, è il gameplay. A differenza di Project .Hack, .Hack G.U. ha un combat system molto più dinamico che è riuscito a trovare nel remastered nuova linfa. I 60 frame per second rendono fluido un sistema di combattimento simil-button smashing che all’epoca si rivelò sì interessante, ma alle volte legnoso. Ingaggiato il nemico attraverso attacchi a sorpresa o meno, il combattimento si svolgerà in arene delimitate da muri che renderanno impossibile la fuga e che in taluni casi risulteranno anche limitanti, dove potremo dar sfoggio delle nostre skill: ce ne sono tantissime e sarà nostro dovere utilizzarle attraverso l’apposito sistema di shortcut che ci permetterà di accedere a quattro di esse opportunamente assegnate ad ogni tasto. Le abilità non saranno gli unici tipi di attacchi: oltre ai corpo a corpo normali, è disponibile il Rengeki, una tecnica che sarà sfruttabile solo dopo aver indebolito un nemico e che ci permetterà di sfruttare una versione potenziata della tecnica utilizzata. Il Rengeki, a sua volta, riempirà la barra Morale che a sua volta ci permetterà di imbastire potenti attacchi suddivisi per quattro livelli, ognuno di essi denominati “Awakening”.

Bene. Sappiate che fino ad ora avete visto solo un lato dell’ultima fatica di Bandai Namco, quello bello. I veri problemi di questo titolo devono ancora arrivare e non sono per niente discutibili.
Tanto per cominciare si può discutere del level design. Se le città risultano essere esteticamente accattivanti, accompagnate da una moltitudine NPC e da una soundtrack memorabile, ciò non si può dire delle varie zone che compongono il mondo esterno. In The World per accedere al mondo esterno sarà necessario raggiunge il Chaos Portal all’inizio di ogni città. Questo ci consentirà di teletrasportarci in aree nel quale consumare la nostra avventura e lo farà in modo del tutto procedurale, sfruttando delle parole chiave che inseriremo nel portale. Ognuna di queste, combinate con le altre, porta con sé caratteristiche che andranno a influire sull’area nella quale ci ritroveremo (livello, estetica e tanti altri attributi). Il problema è che non solo l’estetica delle aree si ripete spesso, ma il level design delle stesse le rendono monotone, spoglie, ripetitive e con un livello di interazione settato al minimo indispensabile. Alcune di esse sono addirittura sprovviste di dungeon (che nel primo erano un must in ogni area) con solo alcuni mostri da uccidere per ottenere l’accesso alla sala del loot, altre invece saranno caratterizzate da dungeon inutilmente enormi, strutturati da stanzoni spogli e con pochissimi elementi con cui interagire: nemici, treasure coffer e i famigerati Chim Chim. Questi ultimi sono esserini che rilasceranno l’equivalente di punti da spendere per aprire le porte del labirinto e avanzare, per questo motivo andranno stanati e colpiti nei pressi delle loro tane. Il secondo problema è come si interagisce con il mondo di gioco (che non siano città) e la risposta è: con un calcio. Con tutto, che siano mostri da combattere, porte da aprire o NPC con cui parlare (che comunque non fanno parte dell’area), si interagisce attraverso un calcio. Stanare e acchiappare Chim Chim? Azionare interruttori? Aprire una treasure coffer? Con un calcio. Per alcune cose tale modo può anche essere giustificabile, ma interagire con tre quarti del mondo di gioco attraverso un calcio ci appare una scelta frettolosa e poco ponderata.

Ed è questa povertà che mina sensibilmente il titolo. Last Recode appare un remastered incompleto. Quella di Bandai Namco è stata un’ottima mossa, un’operazione low cost (che alla lontana ricorda il remastered di un certo God Eater) che avrebbe potuto riportare in auge un gioco e una saga che hanno molto da dire, e allo stesso tempo rendere disponibile sul mercato un titolo che risulta essere effettivamente nuovo per noi europei. Tuttavia, il piano della società si scontra con una realizzazione sicuramente buona, ma traballante, che alterna momenti dove ammirare la riuscita della rimasterizzazione è un dovere e momenti in cui ci si vorrebbe coprire gli occhi. Così, la bellezza delle cutscene in CGI si scontra con le animazioni dei modelli (o l’inesistenza di alcune di essere come il movimento della bocca), i modelli ben definiti dei personaggi si scontrano con le texture incollate sui poligoni squadrati che formano l’ambiente circostante, il battle system e in generale il gameplay fluido e profondo si scontra con un level design spoglio. Nonostante ciò, il gioco merita molta attenzione e ci auguriamo che altri titoli legati alla saga possano arrivare presto. Per tutti gli amanti degli RPG orientali questo è un must, mentre per coloro che si vogliono affacciare al genere e alla saga, sebbene sia pieno zeppo di riferimenti alla prima tetralogia, resta un ottimo acquisto.

Sebastiano Italo "Ghraal Vakarian" Caradonna
Filosofo e poeta a tempo perso e a tempo pieno. Ossessionato dall'arte nonché dai giochi e dal tema del viaggio. Studio per diventare game designer, ruolo ed ambito che rappresentano, ovviamente, una ossessione.

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