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Hidetaka Miyazaki: il Demone, l’Anima e il Sangue

YOU DIED. Basta quello per capire di che cosa sto parlando, della serie che probabilmente ha stravolto le regole, cambiato i parametri di riferimento, alzato l’asticella dello standard qualitativo: parlo di Demon’s Souls, Dark Souls e di Bloodborne. Invece no, sono arcistufo di sentir parlare di quanto è bello il gioco, di quanto è fatto bene quel mostro, quel castello, quell’armatura o di quanto sia terrificante la colonna sonora in quella particolare area di gioco, quante emozioni ha suscitato al giocatore questa o quella citazione tratta dal mondo di Lovecraft. Oggi voglio offrirvi una storia più vera, non di poligoni ma di ombre e luci reali, probabilmente più oscura di quella che vi aspettereste: vi presento Hidetaka Miyazaki, l’uomo dall’anima oscura e la testa rivolta al “Sole”.

Nascere e Crescere

Shizuoka, millenovecentosettantacinque, una tranquilla prefettura giapponese, da’ i natali a Hidetaka Miyazaki. Cresce come tutti gli altri bambini, forse non proprio come tutti, data l’estrema povertà in cui verte la sua famiglia. Nonostante le difficoltà, Hidetaka si dimostra un bambino pronto alle nuove sfide: quando può si rifugia in biblioteca, unico posto in cui può reperire ciò che anela, ovvero la conoscenza! Era infatti un accanito lettore di tutto quello che trovava circa la cultura europea, oltre che ovviamente di manga provenienti dal suo paese. Conoscere il significato della parola “No” è qualcosa che ogni bambino dovrebbe imparare il più tardi possibile: non fu così per il giovane Miyazaki, che dovette capire fin da subito che libri, manga ed insegnamenti erano al di là delle sue umili origini. La fortuna del ragazzo sta forse nel suo tempo: è nato in un periodo in cui esistono le biblioteche pubbliche; voracemente e con tenacia impara quanto può sulla nostra cultura, sui costumi ed il modo di pensare degli occidentali. Spesso, i libri a cui attinge Hidetaka non sono nella sua lingua, questo comporta dei buchi nelle trame delle storie che legge, buchi che vengono riempiti dalla sua immaginazione: ecco che le immagini contenute nei capitoli lo aiutano a colmare lacune di comprensione e, se ad esempio vede Huckleberry Finn in compagnia dell’amico Tom Sawyer andare pesca e nell’immagine è presente un pesce che morde il piede di Tom, la sua mente immagina parte della giornata e la inserisce nel contesto che magari non è propriamente legato alla trama ma per lui, è una parte fondamentale del racconto in quanto non sa a cos’altro appigliarsi per costruire una storia coerente con se stessa.

Crescendo, si laurea alla Keio University in Scienze Sociali, una laurea che si confà al suo studio sull’animo umano: non dimentica affatto da dove viene e dove vuole arrivare. Trova lavoro presso la Oracle Corporation, su consiglio di un amico inizia a giocare ad ICO, il gioco lo colpisce a tal punto da fargli cambiare lavoro: credo che tutti noi abbiamo nell’anima un lavoro che è insito nel nostro D.N.A. ebbene quel gioco, permise ad Hidetaka di capire che lui era un game designer, lo era sempre stato, doveva solo accettarlo. Ora, tra il dire ed il fare, c’è di mezzo la realtà: all’età di ventinove anni, essere assunti da qualsiasi grande compagnia come game designer non era un’impresa facile. FromSoftware, lo aveva già assunto nel 2004 come “planner” per Armored Core: Last Raven. Lavorando duro e facendosi notare, ottenne la direzione del titolo Armored Core 4 ed il suo diretto seguito Armored Core: For Answer. I giochi che sviluppò l’ormai uomo Miyazaki gli concessero il beneficio del dubbio e fu allora, solo allora che decise di liberare i suoi demoni.

Demoni e Fallimenti

C’era un progetto che girava da un po’ negli uffici della FromSoftware: un action game con elementi rpg che però era stato accolto malamente dalla critica già dalle prime immagini mostrate. Hidetaka capì subito che era il momento per esprimere il suo potenziale e decise di farsi avanti per la guida del progetto: del resto, se già era un fallimento, peggio non poteva andare si disse e qualora avesse sbagliato, non sarebbe importato molto a nessuno. Il gioco arrivò sugli scaffali giapponesi con il nome di Demon’s Souls, un gioco nuovo, ambientato in un mondo non meglio precisato, in un medioevo fantasy davvero crudo, sicuramente diametralmente opposto alla cultura ed alla tematica in voga nel paese di Miyazaki. Provate a immaginare quanto sia difficile fa apprezzare a noi europei una cosa che proviene tipicamente dal Giappone, provate ad immaginare Demon’s Souls come un uomo che esce di casa a Milano, vestito con un costume tradizionale Giapponese, prende i mezzi e va al lavoro: adesso, provate a pensare che quell’uomo siete voi e che in molti vi stanno fissando con scherno. Questo è stato l’effetto che ha fatto il gioco all’uscita, vendendo pochissime copie in un paese che è conservatore più di quanto direste, vi basti pensare che oggi in Giappone la Microsoft Xbox One S viene venduta come “lettore Blu-ray 4K con possibilità di giocare” .

Sono sempre più convinto che il destino risponde quando lo chiami con forza: l’amarezza e la rabbia di Hidetaka per lo scarso interesse circa la sua opera lo stavano distruggendo, quando pochi mesi dopo, il gioco iniziò a vendere discrete quantità di copie in Giappone, al punto che diversi distributori esteri erano interessati. Ci fu un approdo “oltreoceano”, con una versione americana del titolo, il gioco “impossibile” così venne definito dai giocatori americani. Nonostante la difficoltà del titolo, la quasi totale mancanza di una storia ben spiegata, il gameplay vinse su tutto: stoico, diverso da quanto visto fino ad ora, tremendamente hardcore al punto che la prima run del titolo altro non è che un lungo ed immenso tutorial nel quale il giocatore cresce, impara e vive o, più precisamente, muore. In fondo, per Hidetaka quel processo di apprendimento equivale alla formula della vita: nasci, cresci ed ogni “no”, ogni porta in faccia, ogni rifiuto od esame andato male, suona nella sua testa come “YOU DIED” appare sui nostri schermi ancora oggi. Ad ogni nuovo giorno, può corrispondere una nuova vita, una nuova occasione per fare meglio, imparando dal passato, quel passato che si ti ha sconfitto ma che ti ha insegnato anche come evitare l’errore.

Dark Souls Choosen

Il gameplay che aveva fatto innamorare una grossa nicchia di giocatori su Sony PlayStation 3 non poteva restare li, confinato su una sola piattaforma, ecco che Bandai Namco prende la palla al balzo e promuove la produzione di quello che oggi è un culto del mondo videoludico: Dark Souls prende vita, permettendo anche agli utenti PC ed Xbox di vivere avventure distanti da quelle di Demon’s Souls, forse troppo hardcore, in favore di qualcosa di meno complesso ma comunque originale e più alla portata di tutti. Il gioco permette ad Hidetaka di diventare presidente di quella che un tempo era una delle poche case di sviluppo che gli aveva dato un lavoro: FromSoftware lo nomina presidente della compagnia, fu allora che Sony Computer Entertainment, decise di chiedere all’ormai “maestro”, un titolo nuovo non collegato alla serie Souls che nel frattempo stava per sviluppare il suoi nuovo capitolo Dark Souls II.

Fu allora che Hidetaka vide una luce oltre le nuvole, la possibilità di avere di nuovo una tela bianca, qualcosa di fresco: in fondo il demone più pericoloso per un artista è quello di restare ancorato ad un opera, al punto che i tuoi fruitori si aspettano solo quello da te. Per citarvi un esempio, guardiamo a Rockstar Games ed il suo Red Dead Redemption: nonostante il titolo sia un Grand Theft Auto ambientato nel Far West, non è stato chiamato G.T.A Far West ma è nato un nuovo brand, non legato necessariamente al precedente ma di cui porta il D.N.A. con fierezza. Bloodborne, non è un nome casuale infatti: la traduzione letterale è “che scorre nel sangue” e questo nome si rifà a tutta una serie di collegamenti che potrei finire l’inchiostro di internet per citarli tutti, mi limiterò a ricordarvi il ruolo centrale che ha il sangue nel gioco o se preferite, il D.N.A. della serie Souls che Bloodborne porta con se. Hidetaka Miyazaki ha sempre saputo stupirci, perfino quando pensavamo che non fosse più possibile, ecco che elimina il concetto di parata da un gameplay che fa di quella tecnica la sua chiave di volta: il risultato è un opera fluida, che come acqua si adatta a qualsiasi tipo di giocatore, permettendo uno stile peculiare, simile di volta in volta ma diverso nella sua sfumatura. Bloodborne è stato il suo capolavoro ma c’erano alcune anime che andavano quietate.

Durante il successo e la promozione di Bloodborne, Miyazaki dovette tornare sulle anime oscure e curare quello che a detta di molti, fu un errore di produzione: Dark Souls II, sebbene fu supervisionato dall’autore, non aveva la stessa forza, la stessa “anima” del capitolo precedente; il gioco fu comunque un ottimo action rpg ma non degno del nome che portava. Dark Souls III vide il direttore di FromSoftware impegnato a trecentosessanta gradi, ansioso di scrivere il capitolo finale di una saga che come tutte le cose belle, deve avere una fine.

Fotografia dell’Anima

Proprio oggi, i server di quello che fu l’inizio ormai dimenticato della saga, Demon’s Souls, si vedranno staccare la spina: e così, analogamente ad un anima che lascia il corpo, il nexus non brillerà più come prima. Non sono così presuntuoso da sapere cosa ne pensa Hidetaka Miyazaki ma credo che, se ho imparato qualcosa dalle sue opere, oggi direbbe qualcosa del tipo “ogni fine genera un nuovo inizio” e chissà che un domani non vedremo un Demon’s Souls Remastered o magari un secondo capitolo.

Questo è l’uomo che ci ha fatto sognare, impaurire e imprecare durante interminabili ore di gioco, questa è la fotografia di quello che è stato, con un tocco di fantasia, esattamente come i libri che lui riempiva là dove mancava di informazione: questo è Hidetaka Miyazaki, la sua anima la trovate nei giochi che ci ha regalato, se siete tanto svegli da coglierla.

Tiziano Sbrozzi
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.

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