VideogiochiRecensione

Hob Recensione

Ormai siamo ad ottobre e non manca poi così molto alla fine dell’anno solare 2017, un numero, il “17”, che nella nostra cultura ha da sempre rappresentato qualcosa di… poco buono, sventura. Sfortuna, appunto. Eppure, se mi guardo dietro, proprio non riesco a trovare alcun tipo di catastrofico evento in quest’anno che, al contrario, è riuscito a sfornare mese dopo mese capolavori di ogni tipo e provenienti da tutte le parti del mondo, Italia compresa. Il 2017 sarà sempre ricordato come pietra miliare della storia videoludica e non di certo solo per i grandi titoli usciti (e in uscita), per le nuove console, no… sarebbe riduttivo: questo è un anno che verrà ricordato anche e soprattutto per gli indie che hanno visto la luce in questo periodo. Mettersi qui ad elencarli tutti sarebbe folle, ma tra questi non possiamo che annoverare Hob, ultima fatica di Runic Games che, dopo il successo di Torchlight 1 e 2, ha deciso di virare sensibilmente la rotta, abbracciando un progetto che per genere si colloca in una sfera completamente diversa rispetto ai progetti passati.

Per quanto il nostro incappucciato protagonista possa risultare curioso o carismatico con il suo aspetto goffo e il braccio meccanico, chi ruba la scena è di certo il mondo di gioco. Costruito ad arte, possiamo notare fin dall’inizio che ciò che lo caratterizza è la compresenza di elementi concettualmente contrastanti e distanti che qui convivono, compenetrandosi l’uno con l’altro. La natura del mondo, infatti, è duplice: l’amenità e la bellezza di foreste e laghi nascondono a loro interno, nel sottosuolo, una serie di meccanismi e di ingranaggi che ne modificano l’estetica e che sono alla base dei puzzle e delle sfide del titolo. Hob, infatti, è un puzzle platform che fa dei rompicapo ambientali il suo punto di forza. Tutto il mondo di gioco si dividerà in aree che andranno costruite di volta in volta risolvendo i vari enigmi del “livello”, pur presentando un semi-open world suddiviso in zone: queste raggiungibili attraverso un teletrasporto una volta ricollocata la zona nella mappa, con aree interamente esplorabili da cima a fondo, dove non vi sono caricamenti se non in sporadici casi. È piuttosto interessante notare come anche la risoluzione dei rompicapo sia stata costruita con cognizione e sapienza, presentando nella fase iniziale al giocatore un enigma che sembrerebbe irrisolvibile e che rappresenta il più delle volte (non sempre, sia ben chiaro) il punto di partenza dal quale procedere. Successivamente la serie di puzzle e di vie aperte con le relative risoluzioni ci condurranno attraverso tutta l’area del quadro, facendoci scendere nel sottosuolo per poi farci sbucare alla luce del sole con la soluzione all’enigma iniziale, che ci permetterà di completare il livello. Come potete intuire da quanto detto, il level design è il piatto forte di Hob, che comunque non si limita a questo, ma che in esso trova la sua forza maggiore. Tra il naturale e l’artificiale, tra foreste ed ingranaggi, si dispiega così il mondo di gioco su cui aleggia un senso di mistero che ricopre ogni angolo della mappa, ma soprattutto l’intera narrazione del titolo che, come suggerisce l’atmosfera nella quale siamo immersi, risulta essere silenziosa, accompagnata solamente dal verso delle altre creature e delle melodie di sottofondo che mai incalzano e mai prendono il sopravvento su ciò che sta accadendo.

Tutti gli esseri che incontriamo comunicano, ma nessuno di essi lo fa esplicitamente o in qualche modo che coinvolga l’uso, a noi comprensibile, di una lingua che impegni l’utilizzo di suoni. Il robot che ci accompagna e ci guida nei primi momenti della nostra avventura, le popolazioni indigene che ci attaccano e mostrano fierezza colpendosi il petto dopo averci annientati, i folletti (mascotte del titolo, oltretutto) che felici sembrano danzarci attorno ogni volta che ci incontrano. Tutto ciò che vi è all’interno del mondo vive e lo fa silenziosamente. Esattamente come la piaga che sta inesorabilmente avvolgendo e divorando il mondo, corrompendone le creature. E allora, vediamo attorno a noi, durante la nostra avventura, i danni e le conseguenze di questo male grazie agli innumerevoli dettagli che fanno presagire la presenza di una narrazione taciturna di eventi accaduti prima del nostro risveglio (e che Runic Games ha illustrato in un piccolo fumetto che fa da prologo al gioco) in un mondo morente, come le carcasse di robot sparse per la mappa o statue di sabbia di guerrieri caduti (tutti elementi utili al gameplay, tra l’altro). Tale narrazione diventerà, via via con l’avanzamento nel gioco, più esplicita e comprensibile, non risparmiando affatto scene piuttosto forti, e vedrà anche l’entrata in scena di alcuni personaggi secondari, funzionali al racconto stesso, che arricchiranno il senso di mistero di tutta l’esperienza.

Salti e rotolate frenetiche, però, non bastano per superare tutti gli ostacoli che il mondo ha da offrire. Laddove le nostre abilità fisiche non arrivano, ecco arrivare in nostro soccorso elementi che completano, come in un cerchio, le meccaniche di gameplay, rendendo di fatto Hob ciò che esso è. Entrano così in scena due elementi di vitale importanza per il titolo: la spada del protagonista e il suo braccio meccanico. Il secondo, giunto dopo una cutscene piuttosto cruda, è il vero re del gameplay, nonché ponte perfetto che unisce esplorazione e battle system. Molteplici sono le sue funzioni: potrà esserci di grande aiuto nell’esplorazione, abbattendo muri che apriranno a diverse shortcut o azionando meccanismi, trasformandosi all’occorrenza in un rampino o permettendo addirittura il teletrasporto su determinate piattaforme. Ma non finisce qui! Il nostro braccione avrà la capacità di darci completo supporto anche durante le battaglie, grazie ai poderosi pugni caricati e alla possibilità di trasformarsi provvidenzialmente in un scudo attraverso l’ottenimento di una abilità (di cui discuteremo dopo). La nostra mano destra non sarà libera, però: per abbattere in nemici che si pareranno di fronte a noi, utilizzeremo un’ingegnosa spada ripiegabile a forma di chiave. Questo rappresenta le fondamenta del battle system che si districa attraverso fendenti di arma bianca e pugni, con l’apprezzata possibilità di mettere tutto in combo per creare una serie colpi in grado di abbattere tutti i nemici, anche i più ostici. Ovviamente, nulla di particolarmente elaborato, ma nella sua semplicità godibile, ben fatto e implementato bene con tanto di skill (parecchie) che possono potenziare il nostro stile di combattimento. Proprio su queste si può aprire una parentesi: al centro della mappa sarà presente una fucina che ci consentirà di personalizzare il nostro equipaggiamento, potenziando la propria spada attraverso l’infusione di tre pezzi della stessa rinvenuti dalle statue di sabbia; acquistando, grazie all’utilizzo di globi verdi utili come monete, nuove skill per aumentare le combo con la spada, creare onde d’urto che stordiscono i nemici colpiti col pugno; sarà possibile anche cambiare skin del personaggio, con conseguente cambio di statistiche.

Alla luce di quanto detto, Hob si rivela una perla, qualcosa che non va trascurato e che si spera non venga oscurato da titoli molto più attesi e pubblicizzati uscenti nello stesso periodo. La cura e l’amore di Runic Games nei confronti del titolo sono tangibili, sono vive proprio come l’universo che hanno voluto raccontare. Di certo non si tratta di un gioco esente da difetti, ad esempio la scelta della telecamera è sì azzeccata, in quanto riesce a nascondere egregiamente i vari collectibles (i più funzionali ai vari potenziamenti) e shortcut sparsi in giro che rappresentano un’ottima ricompensa per chi si sforza di esplorare minuziosamente le aree, ma rende difficoltoso muoversi in determinate parti del gioco, azzoppando l’immediatezza di alcuni salti e movimenti. Non solo, un altro grande dramma che si consuma periodicamente riguarda il calo (o crollo, se volete) di frame rate continuo e non indifferente in grado di minare, per i più schizzinosi e solo in taluni casi, la grande esperienza che questa imperdibile perla riesce ad offrire. Se siete, però, in grado di distogliere lo sguardo da questi piccoli problemi e di rivolgerlo unicamente all’opera monumentale che è Hob, sappiate che non ne uscirete che impreziositi e soddisfatti.

Sebastiano Italo "Ghraal Vakarian" Caradonna
Filosofo e poeta a tempo perso e a tempo pieno. Ossessionato dall'arte nonché dai giochi e dal tema del viaggio. Studio per diventare game designer, ruolo ed ambito che rappresentano, ovviamente, una ossessione.

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

    Potrebbe interessarti anche