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La fine – Recensione del film originale Netflix diretto da David M. Rosenthal

Will (Theo James) e Samantha (Kat Graham) sono una felice coppia di Seattle, in procinto di dare alla luce il primo figlio. Will decide di andare a Chicago per chiedere a Tom (Forest Whitaker), autoritario padre di lei, la mano di sua figlia. La cena a casa dei genitori della fidanzata va piuttosto male, cosi Will decide di tornare a Seattle. La mattina della partenza, durante una video-chiamata con la fidanzata, un misterioso e improvviso cataclisma mette fuori uso tutte le comunicazioni. Impossibilitato a tornare da Samantha e senza avere la possibilità di contattarla, Will decide di partire con Tom in un disperato tentativo di salvarla.

La fine, film originale Netflix diretto da David M. Rosenthal, ci mette davanti ai più convenzionali stilemi del cinema sci-fi: un enigmatico evento che dà origine a conseguenze nefaste, la progressiva scarsità di risorse, la necessità da parte dei superstiti di superare le difficoltà insieme, la generale preoccupazione della popolazione e la scomposta, grossolana reazione delle istituzioni. Il regista sceglie di confrontarsi col genere con un approccio particolarmente intimista, sacrificando azione ed effetti speciali. La prima parte mantiene in equilibrio il clima di tensione e mistero, traendo il meglio dalle performance dei due protagonisti, abili a conferire profondità ai rispettivi personaggi. Il rapporto tra i due è caratterizzato in maniera sommaria in fase di sceneggiatura, che trae spunto dal classico cliché che vede l’arido e diffidente ex-militare confrontarsi con l’appassionato giovane in carriera.

L’opera, nel suo complesso, perde di vista il focus del racconto, ammassando alla rinfusa temi, caratteri e situazioni. Will e Tom si trovano a incrociare personaggi interessanti, come la giovane nativa americana interpretata da Kerry Bishé, ma risultano essere sparute figure che non apportano nulla all’economia generale della storia. A fare da raccordo alla narrazione non sono i personaggi e l’apocalittico contesto in cui si muovono, ma semplicemente le loro disavventure. Anche se la messa in scena si mantiene sempre su livelli degni di menzione, il racconto perde di forza e intensità, confezionando un road movie posticcio che rischia in ogni momento di non fare presa sullo spettatore. Quando tutto si trascina inevitabilmente verso la conclusione, il film fa deflagrare tutte le debolezze mostrate in precedenza. Gran parte delle questioni vengono lasciate in sospeso, o intenzionalmente evitate, dando un peso fin troppo eccessivo e ingiustificato a un nuovo personaggio.

La fineL’unico vero grande pregio è la resa delle immagini, sempre evocative. Il lavoro svolto dal punto di vista fotografico è di grande spessore: tempeste elettriche, piogge torrenziali seguite dal clima torrido, nubi tossiche e aurore boreali sono esteticamente potenti. La CGI si fonde perfettamente col paesaggio, regalando scorci suggestivi. Ovviamente non viene data la benché minima spiegazione di ciò che accade, le orride e suggestive meraviglie paesaggistiche sono spettacolari intermezzi, utili a sorreggere una trama superficiale, senza avere il ruolo che meriterebbero.

La fine

6.3

La fine è un film narrativamente poco riuscito, senza nessun particolare guizzo creativo, offrendo una trama sempre lineare, prevedibile e stucchevole. In compenso il lavoro fotografico è di notevole fattura e le immagini sono davvero suggestive, con un sapiente utilizzo del digitale.

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