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L’arte del doppiaggio: ecco i 5 migliori e i 5 peggiori doppiaggi italiani nei videogiochi

Croce e delizia per molti dei cultori che i media li digeriscono solo in lingua originale, l’arte del doppiaggio è senz’altro uno di quei temi che proprio di recente è tornato a infervorare i cuori del pubblico italiano (e ogni riferimento a Cannarsi non è puramente casuale). Il nostro paese si porta alle spalle, in realtà, una lunghissima e invidiabile tradizione di studi e tecniche sulla traduzione e gli adattamenti, a partire dai primissimi prodotti cinematografici approdati nel mercato nazionale già dai primi anni ‘30. Ma con la diffusione dei videogiochi e il loro permeare nel sostrato sempre più fertile del pubblico nerd italiano, gli adattamenti sono arrivati a colpire anche questi nuovi mezzi d’intrattenimento.

Eppure, nonostante l’estrema professionalità dell’arte in questione, non tutte le ciambelle riescono col buco. E infatti, non tutti i videogiochi pubblicati sono sempre stati supportati da un cast di doppiatori d’eccellenza. Tra capolavori indiscussi dell’industria videoludica e performance ai limiti del trash e del ridicolo, abbiamo pensato perciò di proporvi una piccola lista che prevede i 5 migliori e i 5 peggiori doppiaggi italiani nella storia dei videogiochi. È stato difficile stilarla – in entrambi i casi molti sarebbero gli ulteriori titoli da menzionare. Tuttavia, questo è quanto ne è venuto fuori, tra fail rigorosamente e già ampiamente conclamati e alcuni lavori di indubbia professionalità: un articolo che non vuole assolutamente essere monolitico, quanto piuttosto invitare tutti i lettori a riflettere (oltre che a sorridere) sulle classifiche e ad arricchirle con i propri gusti e le proprie opinioni personali.

Comparse da Roma e goliardie trash

Come spesso accade, per sponsorizzare e spingere le vendite di determinati prodotti (e questo anche al di là del settore videoludico) si finisce per ricorrere alla collaborazione con alcune figure importanti del mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento. Questo è altresì riscontrabile nell’imminente lavoro di Kojima, che con il suo promettente Death Strading fa militare tra il suo cast i volti di alcuni dei più celebri attori di fama internazionale, o nell’incredibile performance di Keanu Reeves in Cyberpunk 2077.

Spesso, però, le collaborazioni riguardano anche solo il campo dell’adattamento e del doppiaggio e, saltuariamente (per fortuna), esse vengono instaurate con personaggi sì, famosi, ma in realtà poco in grado di supportare un lavoro d’interpretazione di un certo spessore. Soprattutto quando viene a mancare una buona base di dizione; e quando si ha la tendenza a mangiarsi le parole; e quando si lascia trasparire una certa calata originaria di Centocelle. Ecco, questo è proprio il caso di Dario Argento, maestro dell’horror e del terrore che ha prestato la sua (sicuramente inconfondibile) voce al personaggio del dottor Kyne in Dead Space. Un uomo intelligente, ma travagliato da un destino infausto e, quanto meno nel mercato italiano, da un modo di parlare che non lascia affatto indifferenti…

Cosa dovrebbe farci un romano all’interno dell’astronave USG Ishimura non ci è dato ancora saperlo. Ciò che ne viene fuori, però, è ovviamente una performance abbastanza grottesca, che tra l’altro ricalca involontariamente il modo di parlare cabarettistico dell’esilarante Lillo (alias Pasquale Petrolo), e che non si distanzia dall’effetto comico regalatoci similmente dalle interpretazioni di Asia Argento (in Mirror’s Edge) o Gabriel Garko (in Prince of Persia: Spirito guerriero).

Altra chicca, comunque, ci viene offerta dal buffo doppiaggio implementato nel mitico The Legend of Dragoon. Nessuna voce famosa, nel caso di questo RPG targato 1999, ma tanto, tantissimo disagio nel prestare la voce e i versi (“bruah!”) ai personaggi del titolo in esclusiva per Sony. Con un accento spiccatamente poco italiano, almeno per quanto riguarda la maggior parte degli attori coinvolti, e una forza interpretativa dimenticata chissà dove, durante le varie cutscene si alternano momenti d’incertezza e d’incredulità, poiché distratti dal tentare di cogliere l’idioletto del personaggio parlante; così come dal cercare di non ridere mentre si ascoltano le improbabili grida di lotta di ognuno dei guerrieri – o degli “eruòi folli”, come preferite.

 

Di qualche anno più giovane del precedente, Spyro: Enter the Dragonfly è un videogioco a piattaforme rilasciato nel 2002. Uscito per PlayStation 2 e GameCube, è il quarto titolo canonico della saga del grazioso draghetto, che però vede dalla sua una direzione al doppiaggio un pochino inquietante. A rimetterci è soprattutto la tenera creaturina viola, beniamino di molti appassionati ma indiscutibilmente rovinato da un modo di parlare quasi robotico e affatto naturale, con un accento di dubbia provenienza e da un tono forse troppo adulto.

Tale inaccuratezza in termini di doppiaggio è purtroppo estendibile a tutti i personaggi del gioco, che spesso e volentieri si ritrovano fuori sincronia con la loro stessa voce e che in generale risultano essere goffamente e malamente caratterizzati. Inoltre, in tutto questo mix di incertezza e incuria, in cui rimane anche difficile capire al volo i dialoghi, qualche battuta di recitazione tende a rassomigliare alle performance, ormai scolpite nel marmo, dei doppiatori dei Dinosauri di Dingo Pictures – alias “mamma e papà hanno un nuovo bebé, non se ne fanno più niente di té”. Il che è tutto un dire.

Ora però è il turno di un altro grande classico, ovvero Hitman: Pagato per uccidere, primo episodio della fortunatissima serie stealth. E il fatto che sia diventata fortunatissima anche in Italia, nonostante questo debutto impietoso, rende sicuramente onore al titolo che l’ha inaugurata. In effetti, come nel caso del titolo precedente, anche in Hitman ogni personaggio è malamente caratterizzato, a partire dalla voce del protagonista, prestatagli da un attore probabilmente non italiano o con qualche difficoltà di lettura del copione.

Soprattutto, però, il modo in cui si è scelto di interpretare i personaggi cinesi che si alternano nel corso dell’avventura è quanto meno stereotipato e sinceramente risibile, con quel loro forte calcare sulle “l” e con quel tipo di intonazione tanto finta quanto inverosimile. Senza contare il barista, con quel suo modo di parlare affannato e affrettato, tanto da apparire quasi infantile e addirittura inquietante. Insomma, un’apoteosi di cliché e stramberie che si susseguono dall’inizio alla fine del gioco.

Fortunatamente, tuttavia, la saga ha poi proseguito nel corso degli anni e dei capitoli prendendo una piega sicuramente più piacevole: il cast italiano è stato infatti rivisitato, e le capacità interpretative dei doppiatori sono di conseguenza sensibilmente migliorate. Non dimentichiamo, del resto, che a prestare la lingua al letale assassino ha partecipato persino il ben noto Giorgio Melazzi.

Ma di certo, se si parla di doppiaggi peggiori nella storia dei videogiochi, non può certo mancare lui: King’s Field IV.  L’emblematico titolo firmato From Software (sì, esatto, la mamma di Dark Souls, Bloodborne e Sekiro), debuttato in Europa nel 2003, non è infatti rimasto realmente impresso per il suo intreccio narrativo o il suo serrato gameplay d’ispirazione, almeno per quanto riguarda il pubblico italiano. E se non conoscete già la sua tragicomica storia, vi domanderete sicuramente il perché. Ebbene, in alcune occasioni le parole non sono sufficienti per descrivere quanto visto o sentito. Lasciamo perciò a voi farvene un’idea in prima persona.

 

Ci avete capito qualcosa? No, tranquilli, nemmeno noi. In aggiunta all’evidente velocità di riproduzione accelerata che caratterizza l’intero monologo, rimane pressoché difficile capire al primo colpo quanto il narratore voglia dirci in merito all’avventura. Apparentemente doppiato da una specie di maldestro sintetizzatore vocale (di quelli che usa anche Trenitalia, per intenderci), la leggenda vuole che sia stato il noto Raz Degan in carne ed ossa a prestare la sue preziose corde vocali al prosatore del prologo. Si tratta però di indiscrezioni interne all’industria del gaming, e di conseguenza, di questa effettiva collaborazione non è stata svelata alcuna traccia – anzi scusate, “tracchia” – e tutto è rimasto confinato nell’ombra. Sì, della vergogna.

Quando la qualità si vede e si sente

A passare in rassegna, ora, tocca a quei titoli che sfoggiano con orgoglio una cura e un’attenzione al doppiaggio in grado di rendere realmente onore al nostro consolidato panorama del settore. Ebbene, il primo da menzionare tra questi è probabilmente uno dei più iconici e nostalgici appartenenti al genere d’avventura grafica, ovvero The Curse of Monkey Island. Uscito per PC nel 1997, è un classico intramontabile che vede protagonista il giovane e fulvo pirata Guybrush Threepwood, intento a salvare la sua bella Ellaine, lasciata in balìa delle creature dell’isola.

Punto forte del titolo, però, è proprio questo susseguirsi continuo di personaggi (e con loro tutta una serie di enigmi e avventure), che si alternano quindi uno dopo l’altro attraverso incontri simpatici e divertenti, e sempre estremamente curati. A modo loro, infatti, sanno essere coinvolgenti, espressivi, estremamente ben caratterizzati e azzeccati nel loro ruolo: le voci italiane, con quell’innegabile capacità recitativa, materializzano fin da subito nella nostra immaginazione la personalità di ogni personaggio, nessuno escluso. E sanno perciò regalarci delle scenette davvero niente male.

Anche Assassin’s Creed 2 ha dalla sua un doppiaggio eccellente. La cura che è insita in questo capitolo della saga, così come in generale in tutti i capitoli che la compongono, è sicuramente ciò che colpisce di più. Oltre all’impeccabile interpretazione dei protagonisti principali, il giovane Ezio Auditore in primis, perfino tutti gli altri personaggi sono stati infatti caratterizzati da un buon livello recitativo, e nessuno, nemmeno le comparse o i NPC di passaggio, sono stati lasciati in mano a doppiatori non professionisti.

Un lavoro senz’altro mirabile, questo, che è stato sicuramente svolto riservandogli un occhio di riguardo per via di un benvoluto senso di orgoglio. In effetti, realizzare il doppiaggio italiano di un gioco ambientato in Italia, e per di più nella fiorente e fertilissima Toscana del Rinascimento, non può che aver destato una sorta di senso del dovere nel team nostrano, permettendogli così di ottenere un risultato che ha lasciato più che soddisfatti i fan madrelingua, e che ha persino incuriosito e affascinato chi invece non è molto avvezzo all’idioma del belcanto.

Rimanendo in tema di monologhi, impossibile in questo caso non nominare Max Payne, storico capostipite della trilogia sviluppata da Remedy Entertainment.

Nella sua versione italiana è fare da padrona è l’inconfondibile voce di Melazzi, che riesce da sola a rendere il gioco un piccolo gioiellino. Il talentuoso attore, infatti, con la sua voce calda ed estremamente suggestiva, è in grado d’infondere all’atmosfera del titolo una sfumatura più gialla e più noir, e tutti i dialoghi recitati lasciano percepire quel mix perfetto di profondità e ironia che riprendono e si adattano perfettamente allo spirito con cui è stato originariamente scritto il gioco. Dal canto suo, poi, l’attore è sicuramente reo di aver donato all’iconico Max la voce che tutti noi conosciamo, e con la quale ormai lo identifichiamo imprescindibilmente.

 

Quando poi il doppiaggio è paragonabile a un prodotto cinematografico di estrema qualità, ne viene fuori un capolavoro come The Last of Us. L’acclamatissimo figlio di Naughty Dog è di per sé un capolavoro sotto tantissimi punti di vista: uno scenario post-apocalittico fa da palcoscenico a una trama impeccabile, impreziosita dalla caratterizzazione encomiabile dei due protagonisti, impegnati a comporre i tasselli di un rapporto che diventerà il perno principale dell’intero arco narrativo. E tutto questo non si smentisce nemmeno nella sua versione italiana.

Lorenzo Scattorin e Gea Riva riescono infatti ad offrire una performance ineccepibile, fatta di enfasi e pathos, di emozioni e silenzi. Una dimostrazione di talento e di grande capacità recitativa che prende di petto la questione del doppiaggio nei videogiochi, e che la spinge verso i canoni dei prodotti cinematografici di alto livello. Assistere alle discussioni tra Joel e Ellie ci avvolge di sensazioni reali e intense, figlie di un grado di coinvolgimento tale che nessun giocatore riesce realmente a scansare. Sembra davvero di essere lì, con loro, e di riuscire a capire, a toccare, i loro rimorsi, le loro grida e le loro gesta.

https://www.youtube.com/watch?v=GfMdD69pfvE

 

E alla fine arriva Bioshock – anche se non era proprio così la citazione. Il capolavoro di Irrational Games è indubbiamente uno dei miei preferiti di sempre, un titolo che ha saputo convincere appieno il pubblico internazionale per tantissime ragioni. In effetti, pure nel nostro paese si è comportato egregiamente: giocato in italiano è infatti qualcosa di fantastico, e non ha assolutamente nulla da invidiare al doppiaggio originale.

Claudio Moneta, in particolare, riesce a rendere il personaggio del Dr. Steinman qualcosa di sublime. Ma anche il doppiatore del dandy Sander Cohen non scherza, così come nessun altro personaggio re-interpretato in game. Tutte le voci in questo titolo sono semplicemente perfette, e rendono magnificamente l’atmosfera orrifico-surreale di uno dei survival horror più belli di sempre, ambientati in un distopico panorama anni ’20. A partire proprio da quell’emblematico monologo d’apertura di Andrew Ryan, con l’incredibile voce di Diego Sabre, che con carisma e savoir-faire sa tentarti e ti cattura, mentalmente e fisicamente, in quel conturbante mondo sottomarino di Rapture.

Ecco dunque stilate le nostre personali liste in merito ai doppiaggi più e meno riusciti nel panorama italiano. Tra alti e bassi, tra capolavori e indicibili fallimenti, va però tenuto sempre conto che il settore dell’adattamento nel nostro Paese è sempre stato portato avanti da grandi studi e approcci tecnico-teorici, per cercare di ottenere quelli che poi si sono rivelati gli standard tra i più alti del mondo. Di certo, le mele marce non sono evitabili, e ogni tanto qualche stranezza appare a destare polemica a favore dei puristi della fruizione in originale dei prodotti. Ma molto spesso, tali errori più o meno grossolani, sono dettati da bassi budget o da poca professionalità di alcune figure che tentano di farsi strada nel settore. E questo, c’è da dire, non è un fenomeno esclusivo dell’adattamento.

Di conseguenza, a mio avviso, non bisogna mai essere troppo estremisti. Quando si attacca e si critica il doppiaggio italiano, bisogna ricordarsi sempre di farlo con cognizione di causa. Poiché fortunatamente non tutti gli adattatori traducono come Cannarsi, e non tutti i doppiatori recitano come il narratore di King’s Field.

Valeria Girardi
Amante della musica, della scrittura e della lettura, ha una gatta nera che le fa compagnia. Tra i suoi hobby, videogames e fumetti, con i quali evade dal mondo sintetico e monotono della quotidianità.

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