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Sekiro: Shadows Die Twice – Recensione del nuovo titolo FromSoftware

Ogni titolo FromSoftware che si scansa dal filone principale dei Dark Souls porta sempre qualche piccola perla in termini di gameplay: Bloodborne ha infatti rivoluzionato completamente lo stile di gioco soltanto togliendo lo scudo (e naturalmente aggiungendo alcune dinamiche di gameplay). Per questo motivo le aspettative per Sekiro sono molto elevate: unire il Giappone Feudale al classico gameplay punitivo di FromSoftware, aggiungendo quel pizzico di nostalgia di Tenchu, sembra essere una formula molto funzionante sulla carta. Ma lo sarà anche nella pratica?

Sekiro: Shadows Die Twice 

Altro giro, altro gameplay

La cosa di cui dobbiamo parlare subito è la differenziazione del gameplay dal filone classico: la morte assume diversi connotati all’interno del gioco, cambiando un po’ le dinamiche generali. Niente anime ma punti abilità, mentre gli acquisti saranno effettuati con una valuta in game. Ad ogni morte avrete la possibilità di rianimarvi una volta (o due, a seconda di quanto si è caricato il contatore Kaisei): finite queste “vite extra” tornerete alla più recente Statuetta dello Scultore (l’equivalente del falò), perdendo metà dei vostri punti abilità e metà delle monete. Questa perdita però potrà essere evitata in base alla fortuna, o meglio, ad un valore di benevolenza divina che potrebbe, in base alla percentuale, evitarvi alcune problematiche. Questo valore cambierà in base al Male del Drago, un debuff che nel corso del gioco vi porterà a cercare vari malati in giro per la mappa, così da trovare una cura.

Parlando del combat system, il gioco definisce una nuova branca dei soulslike: le parate diventano vitali, soprattutto le deviazioni (parate a tempo), permettendovi di mandare in critico l’avversario e concludere lo scontro con un’esecuzione. Anche voi però potrete finire così: tolta la barra della stamina, il gioco vi farà caricare una barra ad ogni parata o colpo, portandovi infine in ginocchio e pronti per morire. Oltre alla katana, capace di fare un classico attacco standard o qualcosa di caricato, potrete utilizzare il braccio meccanico di Lupo e le sue abilità, sbloccabili andando avanti nel gioco. Una delle cose più interessanti è il colpo di incontro: nel caso in cui non riusciste a parare o evitare, potreste bloccare il colpo persino andandoci incontro con un ulteriore attacco (ma come voi, anche i nemici potranno farlo). Il gameplay si stratifica ulteriormente tra prese (imparabili), attacchi in affondo (che potrete evitare sbloccando determinate abilità) e eventuali boss dagli attacchi unici. Per questo oltre alla parata, diventa importante saper sfruttare la schivata laterale e il salto, due grandi aiuti che si andranno ad unire al rampino.

Se il rampino da un lato potrà permettervi di passare per strade diverse, magari approcciando un campo di battaglia in modo stealth, dall’altro sarà utile per scappare dalla lotta quando le cose si faranno difficili: alcuni boss potranno in questo modo essere affrontati più facilmente (relativamente). Il gioco vi porterà ad affrontare alcuni miniboss ostici, seguiti dai veri e propri boss, che acquistano ulteriore profondità grazie ad approfondito sistema narrativo decisamente distaccato dai precedenti titoli.

Tornano gli oggetti, ognuno con un effetto preciso, e tornano le flask viste in Dark Souls, come sempre potenziabili col tempo. Proprio la crescita del personaggio differisce in modo sostanziale dagli altri giochi: i punti abilità accumulati vi permetteranno di sbloccare skill attive e passive. Le prime vi permetteranno di effettuare attacchi devastanti, le seconde vi arricchiranno con parate, schivate o abilità aggiuntive. Per finire, anche i valori base del vostro protagonista potranno essere aumentati, accumulando un collezionabile capace di potenziarli una volta raggiunti i 4 pezzi.

Sekiro: Shadows Die Twice

Un’altra dimensione

Usciti dal lato tecnico, le prime cose che saltano all’occhio sono l’agilità del gioco e la verticalità delle mappe: della prima, ci si rende conto al primo salto fatto con Lupo, capace di dare subito un pizzico di agilità maggiore rispetto ai Dark Souls. Per rendervi conto della seconda invece, dovrete andare un po’ avanti nel gioco, quando Sekiro toglierà le rotelle alla bicicletta e vi farà fare come volete. Proprio questa nuova sfaccettatura è ciò che più ci ha colpiti di Sekiro: Shadows Die Twice. Anche se sembrerà una piccolezza, aggiunge una nuova dimensione al gioco, rendendo più facili gli attacchi dall’alto (e i relativi critici). Naturalmente tutto questo, unito al sistema Kaisei, ha dato il diritto – come giustamente dice Miyazaki in un’intervista – di alzare la difficoltà di gioco.

La storia di Lupo ha un grande buco: il protagonista – che in questo gioco parla e partecipa a delle cinematic – non ricorda ciò che l’ha portato a fallire il suo compito di Shinobi, ma grazie a degli amuleti potrà rivivere le vicende passate, aprendo una lista di missioni aggiuntive da fare che porteranno a scoprire cosa è successo nel suo  passato. Soprattutto in queste missioni – ma anche nel gioco standard – le mappe sono decisamente più aperte: il rampino dentro al braccio meccanico vi permetterà di sfruttare strade diverse, e talvolta farà vivere delle sessioni platform divertenti, nonostante non brillino di originalità.

Insomma, l’anima del titolo è decisamente quella di Miyazaki, già vista in Demon’s Souls, Dark Souls e Bloodborne: eppure, come per quest’ultimo, Sekiro: Shadows Die Twice è diverso quanto basta, capace di riplasmare delle idee che ormai iniziavano a diventare troppo viste e che avevano bisogno di una rinfrescata. Ma la cosa che compare – in modo non troppo marcato – durante le fasi stealth e durante il vostro viaggio tra i tetti delle case, è quell’ombra di Tenchu: non lo vedrete in delle meccaniche di gioco prese e adattate, e nemmeno nel combat system. Esso farà capolino ad ogni uccisione silenziosa, alla scalata di ogni palazzo, ad ogni stradina secondaria che prenderete. Proprio questo paragone però, rende subito lampante come il director non abbia voluto lasciare totale libertà nella percorrenza delle location, fornendo degli appigli ben definiti e che potrete utilizzare soltanto in alcuni punti precisi.

Di base Sekiro: Shadows Die Twice è un gioco molto difficile: questo però non è dato principalmente da un sistema di gioco che richiederà a voi di essere “solamente” molto bravi, bensì vi spingerà ad approcciare i nemici e imparare i loro pattern. Fatto quello, tutto il resto sarà nelle vostre mani, letteralmente. Eppure questa dinamica, già vista in precedenza, acquisisce maggiore profondità grazie alla dimensione verticale, che vi aiuterà nei momenti critici ma che potrebbe condannarvi quando meno ve lo aspettate. Non solo FromSoftware ha preso tutto ciò che ha imparato in questi ultimi anni, ma ha deciso di rendere Sekiro un gioco di gran lunga più difficile, quasi a lanciare una sfida contro i giocatori. Avete ucciso dozzine di nemici e combattuto nei panni di un cacciatore, ma riuscirete a essere d’aiuto per il vostro protetto? Riuscirete ad essere uno shinobi degno di questo nome? Se si, la sfida è davanti a voi, porta il nome di Sekiro: Shadows Die Twice e non dovete assolutamente perdervela.

Una macchia bianca

Tecnicamente, il gioco è FromSoftware: per questo motivo l’utilizzo di alcuni stili ormai famosi della software house lascia qualche texture troppo granulosa e crea uno stile grafico non sempre ben definito. Ad aiutare, i modelli poligonali dei personaggi e dei nemici sono ben fatti, riuscendo insieme al doppiaggio a portare un po’ di personalità in più ad ognuno di loro. Il sonoro è realizzato altrettanto bene, scandendo ogni colpo con un clangore squillante. Tutto sommato su PS4 Pro il titolo mostra qualche pizzico di rallentamento in alcune fasi precise, scendendo dai 60 fps standard fino ad un frame rate minimo di 40, ma questo non rovinerà per nulla l’esperienza di gioco.

Sekiro: Shadows Die Twice

9

Sekiro è un titolo adatto sia ai fan dei vecchi souls che ai nuovi adepti della filosofia di gioco di FromSoftware (sempre se amate le difficoltà elevate). La verticalità e l'agilità del protagonista rendono il tutto molto nuovo, e il combat system basato sulle deviazioni, schivate e colpi di incontro aggiungono divertimento e adrenalina alle sfide che incontrerete. Piccola nota amara rimane quella del lato grafico, purtroppo minato nonostante il gioco giri su una versione potenziata dell'engine usato per Dark Souls III. Tuttavia questo non influirà per nulla in modo negativo sull'esperienza di gioco, che rimarrà quasi sempre vicina ai 60 fps.

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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