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Shenmue III – Recensione, il ritorno di Ryo Hazuki

La serie di Shenmue è considerata da molti un vero e proprio mito leggendario. Due capitoli, il primo dei quali uscito in Giappone nell’ormai lontanissimo 1999, in grado di dare un senso a una console forse troppo avanti in quegli anni, il SEGA Dreamcast. Non bastarono 128-bit di potenza a permettere a Ryo Hazuki di diventare un’icona del videogioco negli anni a venire, ma bastarono sicuramente a renderlo un “culto” per tutti gli amanti dei titoli di Yu Suzuki. Sono dovuti trascorrere ben 18 anni, svariate versioni per le console da casa e le preghiere dei fan, per far sì che l’avventura di Ryo trovasse forma nel terzo capitolo ideale della saga di Shenmue. Ora, finalmente, la resa dei conti è giunta. Shenmue III è qui tra noi, anche se fuori tempo massimo.

Padre, dove sei?

Shenmue III è frutto di una campagna Kickstarter costellata da problemi e difficoltà, figlio del fallimento commerciale di Dreamcast che ha portato SEGA a restare a galla come semplice produttrice e sviluppatrice di videogiochi. In questo caso, la casa che ha dato i natali al porcospino blu c’entra davvero poco. Il gioco, disponibile su PS4 e PC, riprende esattamente da dove si era interrotto il secondo capitolo uscito nel 2001, esattamente in quella grotta: Ryo Hazuki e Ling Shenhua sono alla ricerca dell’assassino del padre del protagonista, notano due enormi simboli – uno di una fenice e l’altro di un dragone – fuori da un piccolo villaggio della provincia cinese, Bailu.

Ryo crede che quel luogo sperduto possa nascondere indizi chiave sulla ricerca partita da Hong Kong. Anche il padre di Shenhua sembra essersi dileguato nel nulla, cosa questa che spingerà Ryo a dare di nuovo sfogo a tutte le sue capacità investigative, non lesinando neppure qualche bella scazzottata coi briganti di turno di tanto in tanto. Shenmue III riprende nel bene e nel male tutto ciò che ha reso “grandi” i primi due capitoli: la narrazione è piuttosto consueta, inclusi i dialoghi con i personaggi non giocanti (che sembrano usciti da un gioco di inizio anni 2000), la trama è lenta (lentissima) nel fornire dettagli al giocatore così come l’atmosfera soffusa e le meccaniche ludiche sembrano uscite da un titolo nato nelle ultime due generazioni di console. C’è la possibilità di allenarsi, guadagnare più soldi effettuando piccoli lavoretti o attività di contorno (come tagliare la legna), intrattenersi con una serie di minigiochi tipici della serie (come il Guacamole) o dedicarsi a un cabinato ritrovato in soffitta.

A essere stato completamente svecchiato è invece il combat system: mettendo da parte le meccaniche base di Virtua Fighter, Ryo è in grado di prendere a schiaffi i suoi nemici grazie a combattimenti in tempo reale ibridati con alcuni elementi più tattici. Anziché vedere i nostri colpi sferrati in base ai tasti premuti, questi andranno invece eseguiti grazie a una sequenza specifica, con la tecnica che segue a schermo pochi istanti dopo. Anche gli allora avveniristici QTE – o Quick Time Event – sono ora stati ridotti drasticamente, sebbene i pochi in cui incapperete richiedano una buona dose di riflessi.

La resa dei conti

Ciò che purtroppo manca a Shenmue III è quando lo si cerca di analizzare sotto il freddo profilo tecnico: la modellazione facciale e le animazioni dei vari personaggi sono state sacrificate sull’altare di un’estetica deliziosa e in linea con quella dei capitoli precedenti. Si tratta tuttavia di “compromessi” che siamo disposti ad accettare: creare un seguito di Shenmue nel 2019 come fosse il 2003 è sicuramente una missione impossibile, ma di questo Yu Suzuki se n’è bellamente fregato.

Shenmue III è un gioco “per pochi”, è un’esperienza che non è obbligata a piacere alla generazione nata e cresciuta con Grand Theft Auto. Sfoggiare una grafica di prim’ordine o un gameplay innovativo e fresco non era nelle corde del game designer giapponese, così come l’eventuale scarso successo di vendite (cosa che non ci auguriamo di certo) non sarà sicuramente un problema. Suzuki-san non è di certo il Kojima di cui la gente ha bisogno, così come sarebbe altrettanto corretto sperare che la saga di Ryo si chiuda definitivamente con questo terzo episodio. Necessario, senza dubbio, ma così fuori dal tempo da risultare a tratti un’esperienza retrogaming di nome e di fatto.

Shenmue III

8

Shenmue III è un gioco che vive di ricordi. Yu Suzuki ha preso il proprio album di fotografie, lo ha sfogliato e ha scelto con dovizia gli scatti migliori. La terza e ultima (?) avventura di Ryo Hakuzi è l'avventura che i fan aspettavano da quasi vent'anni, un capitolo ex novo che non solo porta la saga verso nuove e insperate direzioni, ma che risulta essere anche un videogioco realizzato con amore quasi paterno, pur non riuscendo a nascondere tutte le sue debolezze, specie dal versante tecnico. Forse, Shenmue III non è un titolo che adora farsi bello agli occhi del giocatore moderno. È un prodotto “vecchio dentro” per videogiocatori dai capelli brizzolati, che al solo udire la parola “Dreamcast” sentono un brivido correre lungo la schiena. Anche solo per questo, c'è quindi da essere grati a Suzuki e al suo Shenmue. Oggi come ieri.

Marcello Paolillo
Da anni critico del settore, ha scritto e scrive attualmente su diverse testate online dedicate ai videogames e al cinema, passando anche per i fumetti. La carriera di Marcello inizia nel 2003 e da allora non si è più fermato: dopo essersi fatto notare sui primi siti di settore, è arrivato a firmare articoli per le più importanti testate web italiane, oltre che per la carta stampata. Pavo non è il suo nome anagrafico: è il suo nome vero.

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