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Trek to Yomi – Recensione, quando lo stile non è tutto

Ci sono giochi che prima di ogni altra cosa spingono sull’elemento artistico, invece che su quello ludico. Titoli che, al netto del loro valore di videogiochi in senso stretto, riescono a restituire quel qualcosa dettato innanzitutto dalla bellezza visiva ed estetica. Trek to Yomi, che analizziamo oggi in recensione, è uno di questi. Parliamo infatti di un gioco che punta molto sulla ricercatezza visiva, ponendosi come un chiaro omaggio al cinema di Akira Kurosawa. Realizzato da Leonard Menchiari e Flying Wild Hog, il gioco si pone infatti come un prodotto d’azione e avventura molto classico, oltre che davvero molto lineare, ma non per questo poco interessante.

In viaggio per amore

Prima di entrare nel vivo della recensione, partiamo con l’introdurvi la storia di Trek to Yomi: questa racconta le vicende del giovane Hiroki, impegnato a compiere un viaggio davvero pericoloso e fuori dal mondo, al fine di proteggere le persone a lui care. Il giovane sarà infatti chiamato a guidare il suo villaggio dopo la perdita del suo maestro, ucciso da un gruppo di banditi senza scrupoli. Assieme alla compagna Aiko, e ormai cresciuto, Hiroki sente la storia di un condottiero in grado di radere al suolo villaggi senza pietà: l’idea è quindi quella di anticiparlo e sconfiggerlo, tenendo così fede alla promessa di proteggere chi ama (non vi spoilereremo altro per non rovinarvi la sorpresa).

Strizzando l’occhio ad alcuni classici del passato, Trek to Yomi è suddiviso in veri e propri stage, dando così forma al viaggio di Hiroki, con tanto di boss a chiudere il livello. Il combat system di Trek to Yomi si allontana abbastanza da quanto visto in giochi ambientati in un periodo storico simile, come ad esempio Onimusha o Ghost of Tsushima (qui la nostra recensione), sebbene l’utilizzo della katana e il combattimento all’arma bianca la faranno comunque da padrone.

Questo è quindi un gioco che punta quasi tutto sull’immediatezza, sebbene alcuni difetti inficino sulla resa finale (come, ad esempio, un leggero input lag nelle situazioni più concitate). Lontano anni luce da Sekiro: Shadows Die Twice, TTY basa comunque parte del meccanismo sul deviare in tempo i colpi degli avversari, una tecnica che va ad affiancarsi in maniera piuttosto intelligente rispetto alla tradizionale parata (che, tra le altre cose, consuma parte della stamina e ci rende vulnerabili a contrattacchi da parte dei nemici).

Un altro difetto legato al combat system è che spesso faticheremo a capire dove sono posizionati i nemici, nonostante lo scorrimento orizzontale della progressione: questo si traduce in scontri al limite della scorrettezza, in cui potremo subire danni a ripetizione solo per il fatto che due avversari hanno il vizio di “accavallarsi” e iniziare a colpire a ripetizione senza darci modo di recuperare stamina. Non si tratta di un problema legato alla nostra incompetenza durante gli scontri, ma proprio di un modo talvolta fin troppo scorretto di affrontare i duelli.

Vero anche che ogni nemico può di fatti essere stordito ed eliminato con una vera e propria esecuzione finale, sebbene questa tecnica vanifichi parte del fascino indotto dai duelli con la katana, riducendo il tutto a un processo meccanico che dopo un paio di ore avrà dato tutto ciò che è in grado di offrire.

Una danza che si ripete

La noia, unita ad una certa ripetitività, sono infatti i due principali difetti del gioco: la presenza di diverse combo che tentano di variare la situazione sono davvero troppo facili e poco soddisfacenti da eseguire, cosa questa che porta ad un inevitabile ristagno dei combattimenti e facendo così scivolare Trek to Yomi nella trappola della monotonia.

Dimenticate quindi virtuosismi con la spada o tecniche particolarmente stylish, anche e soprattutto durante le boss fight: in questo caso è palese che gli sviluppatori abbiano tentato di restituire il feeling tipico dei soulslike, con nemici di enormi proporzioni che appaiono di primo acchito davvero difficili da buttare giù, sebbene i duelli vertano poi a nostro vantaggio in men che non si dica, senza particolari problemi (basterà infatti avere una buona scorta di energia, incassare i colpi quanto più possibile, e il gioco è fatto). L’avventura è inoltre davvero molto breve (siamo sulle cinque ore di gioco intense, necessarie a portare a termine la campagna principale) sebbene Trek to Yomi abbia dalla sua finali multipli atti a variare l’esperienza quel poco che basta ad alzare l’asticella della rigiocabilità.

trek to yomi recensione

Dove Trek to Yomi non sbaglia un colpo, è nella volontà di ripescare dalla tradizione del cinema giapponese degli anni ’50/’60, sia a livello estetico che concettuale: l’eroe e il suo viaggio, spirituale prima ancora che fisico, scandito da scelte e responsabilità che possono cambiare il destino di Hiroki e dei suoi cari, sono tutte cose che funzionano più che bene, vista la capacità di prendersi enormemente sul serio. Trek to Yomi è un prodotto indie, nonostante i limiti tecnici siano del tutto oscurati da una direzione artistica davvero curata: l’opera dei Flying Wild Hog è infatti un gioiellino da vedere, grazie a una cura per i dettagli (oltre a una colonna sonora) in grado di mandare in brodo di giuggiole ogni amante della cultura nipponica. Peccato solo che l’intera produzione si basi prima di tutto sull’aspetto estetico a sfavore del gioco giocato, visto che un equilibrio tra le due parti avrebbe senza dubbio reso l’odissea di Hiroki davvero indimenticabile.

Trek to Yomi

7

Prima ancora che un buon gioco, Tret to Yomi è una sorprendente prova stilistica, a ulteriore conferma che un videogioco può essere bello da vedere, prima ancora che da giocare. Certo, un maggiore impegno lato gameplay da parte del team di sviluppo non avrebbe guastato, specie per quanto riguarda la varietà del combat system, ma è pur vero che la brevità dell'esperienza basterà a farvi gustare una delle più deliziose avventure a tema nipponico di questo 2022.

Marcello Paolillo
Da anni critico del settore, ha scritto e scrive attualmente su diverse testate online dedicate ai videogames e al cinema, passando anche per i fumetti. La carriera di Marcello inizia nel 2003 e da allora non si è più fermato: dopo essersi fatto notare sui primi siti di settore, è arrivato a firmare articoli per le più importanti testate web italiane, oltre che per la carta stampata. Pavo non è il suo nome anagrafico: è il suo nome vero.

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