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Watch Dogs: il figlio “bastardo” della cucciolata Ubisoft

La grande maggioranza degli utenti vede in Ubisoft una sorta di software house in grado sì di sfornare grandi giochi, ma per lo più orientati alla massa come For Honor, Far Cry o, appunto, lo stesso Watch Dogs. Questo ragionamento non è del tutto sbagliato, basti vedere come i diversi studi della società cooperino tra loro, il target dei relativi giochi e il modus operandi: creare tanti universi ed espanderli pian piano. Tuttavia tra tutte le IP dello studio se ne può distinguere una in particolare che ha scontentato a più riprese il pubblico, ovvero Watch Dogs, una serie che ormai abbiamo imparato a conoscere molto bene ma che nei fatti, allo stato attuale, ancora fatica a convincere la maggioranza dei giocatori. Come mai questo astio nei confronti di un titolo che, seppur con qualche difetto, mostra un enorme potenziale? Per prima cosa dobbiamo fare un tuffo nel passato, così da riuscire a capire al meglio il perché la serie a tema hacker di Ubisoft stenti a decollare veramente.

Cani randagi 

Siamo nel 2014, PS4 e Xbox One stentano a decollare a causa delle rispettive line-up poco appetibili e tantissimi utenti virano, in modo abbastanza naturale, sui titoli multipiattaforma disponibili al momento. Praticamente sei mesi dopo l’uscita delle piattaforme, arriva sugli scaffali Watch Dogs, nuova IP di Ubisoft che doveva, in parte, mostrare i muscoli dell’ormai Old Gen. Tuttavia qualcosa non andò per il verso giusto, al momento dell’uscita il titolo non presentava la qualità mostrata nel trailer e questa Next Gen tanto decantata, almeno nei confronti di questa nuova IP, non si notava più di tanto. La community era stata “tradita”, uno strappo difficile da poter ricucire, nonostante la buona volontà. Il gioco al momento dell’uscita non fu come in sede di presentazione, la grafica all’ultimo grido e gli effetti particellari non erano all’altezza dei trailer, il tutto condito da un gameplay e un sistema di guida ancora abbastanza legnosi. Watch Dogs presentava certo qualche brillante intuizione, ma niente che facesse affettivamente gridare al miracolo. Forse, un altro grande problema del gioco è stato quello di essere uscito in un periodo particolare del mercato, in cui si aspettava un forte salto generazionale che, inevitabilmente, continuava a non arrivare.

Il secondo capitolo 

Ubisoft capisce che il gioco ha dei problemi, ma l’IP vale ed è giusto valorizzarla. Qui nasce probabilmente l’errore più grande da parte di Ubisoft, ovvero quello di appoggiarsi, seppur in modo marginale, ai setting già ampiamente utilizzati in altri giochi come, ad esempio, The Division. L’IP viene dunque completamente rivoluzionata, allontanandosi ancora di più da una (seppur timida) narrativa classica per avvicinarsi piuttosto a un action multiplayer incentivato dalla cooperativa. Watch Dogs 2 doveva rappresentare il passo successivo capace di elevarsi rispetto al predecessore, finendo invece con il rallentare inspiegabilmente cancellando in un sol colpo tutto ciò che la saga aveva provato a rappresentare solo due anni prima. Il gioco per alcuni aspetti è molto più superficiale del capitolo precedente; in particolare, si nota un abbassamento del livello della sceneggiatura per puntare a una trama più allegra e spensierata, una scelta mirata per avvicinare appositamente un pubblico più giovane. Questa decisione condanna elementi ludici e narrativi interessanti, trasformando il tutto in un accozzaglia di generi senza lasciare al titolo una vera e propria identità.
Watch Dogs 2
Anche in questo caso però non tutto è da buttare; seppur con difetti importanti, Watch Dogs 2 si rivelò un sandbox ricco di cose da fare e di meccaniche stealth profonde, sfaccettate e molto ben implementate. Le tante missioni disponibili vantavano una discreta varietà e alcune meccaniche – tipo droni e nuovi hack – rendevano il tutto particolarmente divertente. Il problema è che, alla fine della fiera, il DedSec andò riassumendosi una manica di adolescenti scatenati che giocavano a fare i rivoluzionari. I personaggi che si andavano incontrando in-game erano tutti scialbi e poveri di mordente, con un protagonista assolutamente privo di carisma che, com’era facile aspettarsi, non è rimasto minimamente nel cuore dei giocatori.

E allora il nuovo Watch Dogs?

Ecco quindi che si arriva infine a Watch Dogs Legion (qui se siete interessati trovate la nostra recensione), titolo in cui Ubisoft rivoluziona l’impianto sia del gioco che del free-roaming, inserendo meccaniche di gameplay riconoscibili e ben identificabili. Londra è bellissima, la sua rappresentazione risulta accattivante ed il tutto dà vita a un comparto artistico di gran pregio. Quello che più stupisce è la volontà di Ubisoft di dare personalità ad ogni personaggio presente sulla mappa. L’arruolamento è un aspetto principale di questo terzo capitolo, permettendo al giocatore un vasta possibilità di approcci differenti. Eppure c’è qualcosa che non funziona: si vede che il team ha curato tantissimo la scrittura del gioco, con un numero praticamente infinito di dialoghi, ma dar vita ad ogni personaggio nel mondo di gioco creandogli attorno una storia e degli obiettivi è un lavoro mastodontico… e difficilmente concretizzabile.
Il risultato infatti è altalenante, visto che missioni e trame sono abbastanza ripetitive. Anche in questo caso Ubisoft mantiene le promesse a metà, dando all’effettivo una scelta disumana al giocatore in termini di quale personaggio scegliere, ma senza rendere nessuno di questi mai davvero unico. Una volta capito chi scegliere e chi evitare, gli arruolamenti verranno fatti in modo più minuzioso e preciso, così da essere agevolati il più possibile e, in un certo senso, frenando quella varietà di approcci che il team aveva promesso. Alla lunga questa ripetitività consuma irrimediabilmente l’esperienza e, al netto delle potenzialità iniziali, ci si rende conto di cosa la produzione sarebbe potuta diventare. Tuttavia sembra che questo nuovo anno zero per Watch Dogs sia risultato finalmente decisivo, e in meglio. La community ha risposto in modo più attivo, e questo succede proprio quando crei un prodotto accattivante e con personalità, mettendo da parte i classici giochi derivativi.
Il succo del discorso però è un altro; Watch Dogs, come anche per certi versi la grande maggioranza dei giochi Ubisoft, è un calderone di idee promettenti ma che fanno davvero fatica ad eccellere. Il continuo cambio di percorso ludico rende difficile collocarlo con cognizione di causa sul mercato e i giocatori, ormai, sono stanchi delle minestre riscaldate. Il vero problema di Legion, forse, è quello di essere troppo ambizioso rispetto all’hardware di appartenenza, risultando dunque appagante ma alla lunga afflitto dai classici errori a cui la società francese ci ha abituati. Questa IP non può e non deve morire, ma è arrivato il momento per il team di fare una scelta netta sulla direzione del brand. Forse la cosa migliore da fare sarebbe quella di rinunciare a voler piacere a tutti i costi, fare qualcosa di più contenuto a livello di dimensioni per dedicare tempo ed energie alla creazione di un mondo ludico che sia davvero vivo e vibrante, così da dare a Watch Dogs un identità ben precisa e far pace, una volta per tutte, con la community.
Patrizio Coccia
Patrizio non era ancora nato quando entrarono in casa la Super Nintendo e Super Mario Bros. Pochissimi anni dopo, insieme a lui, arrivò anche la Play Station, e fu tutta un'altra storia. Aveva 4 anni quando a malapena riusciva a tenere il controller tra le mani, ma non mollò più la presa, imparando a giocare a tutti i generi. Appassionato di musica rap, film fantasy, e con un passato da writer, predilige indiscutibilmente i giochi di ruolo, fortemente affezionato alla serie di Kingdom Hearts di cui conserva l'intera collezione, spin-off inclusi.

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