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Watchmen – Recensione della serie tv di HBO

Ancor prima del film di Zack Snyder, Watchmen è stato un fumetto uscito verso la fine degli anni 80, scritto da Alan Moore, disegnato da Dave Gibbons e colorato da John Higgins: acclamato da pubblico e critica come un vero masterpiece, racconta le vicende di un mondo ucronico dove i vigilantes, dapprima legalizzati e affiancati alla polizia, diventano poi dei fuorilegge a causa della legge denominata Keene Act. Senza continuare a parlare della trama originale (consiglio a tutto un grande ripasso – o prima lettura – prima di intraprendere la visione), la serie tv di Watchmen ideata da Damon Lindelof racconta una storia decisamente staccata dalla trama originale, ma ambientata nello stesso mondo, uno dove non esistono internet e smartphone. Operazione decisamente particolare e rara, fin da subito non ha riscontrato successo nella mente dell’ideatore del fumetto, che si è disinteressato del progetto. Avrà avuto le sue giuste motivazioni?

Non più controllori

Il mondo è decisamente cambiato: se abbiamo visto che gli unici due Minuteman che hanno continuato a lavorare con il governo sono stati Il Comico e Dr. Manhattan (mentre Rorschach ha intrapreso la strada dell’illegalità per continuare a combattere il crimine), la situazione nel 2019 (anno in cui è ambientata la serie) è decisamente diversa.

Mentre quindi il corpo di polizia ha iniziato a vestire delle maschere gialle per proteggere le identità dei suoi componenti (addirittura costruendo una copertura lavorativa e non solo per ognuno di loro), il simbolo di Rorschach è stato preso dalla Settima Cavalleria, gruppo per la supremazia dei bianchi che sta letteralmente instaurando un regime terroristico in città. In mezzo si posizionano la protagonista e dei comprimari: abbiamo Angela Abar, che mentre vive la sua copertura di fornaia la sera combatte il crimine al limite della legalità, ma anche il capo della polizia Judd Crawford e altri pseudo vigilantes, ovviamente legalizzati perché a lavoro per la polizia.

Tutto questo si instaura in un contesto davvero più grande, dove l’America si trova dal 1992 con il presidente più longevo della storia, Robert Redford, e dove una pioggia di Squid è la norma per la popolazione. La costruzione del mondo –  e della sua evoluzione – è affascinante, perché riprende tantissimi avvenimenti (del fumetto, non del film) e li adatta ad un mondo che dopo 30 anni continua ad essere incasinato. Qui si sviluppa una trama interessante, che parte da alcuni flashback del passato e si porta fino al giorno d’oggi. Eviteremo di spoilerare alcuni dettagli, ma la costruzione e la ricerca del raggiungimento dell’obiettivo seguono in parte la costruzione d’intreccio vista nel fumetto, con tanto di componente thriller. Sebbene il fumetto quindi sia nato per vivere e morire in quei soli 12 albi, tutto sommato la serie non fa un cattivo utilizzo del mondo di Watchmen, evitando di cadere nel mero citazionismo ma costruendo il tutto in modo tale da essere realistico e coerente.

Perché Watchmen?

Il problema si presenta quando però si va a separare l’intreccio della serie dall’ambientazione: gli storici personaggi visti nel fumetto e nel film qui sono soltanto leggende (salvo qualcuna), meme di un’epoca ormai passata che però continua a vivere ancestralmente nel DNA di ogni essere vivente, che nel bene o nel male risiede in un mondo fatto di crimini, infrazioni della legge e una grandissima zona grigia che cancella completamente il giusto e lo sbagliato. Sarà evidente fin da subito che la guerra tra la Settima Cavalleria e la Polizia ha ripercussioni e motivazioni decisamente più profonde, e molto di questo è giocato dagli avvenimenti mostrati nella prima puntata.

Proprio il fumetto prima e il film dopo ci hanno insegnato che la linea che separata giusto e sbagliato è davvero sottile, e questo la serie non lo dimentica. Il problema però salta fuori quando, semplificando la trama, sparisce quell’effetto magico vissuto nel lavoro di Moore o nel film di Snyder, lasciando la parola Watchmen ad un semplice contesto non necessario: perché alla fine trama e sviluppo sono interessanti, seguono un andamento davvero accattivante e soprattutto vivrebbero bene anche al di fuori di questo mondo ucronico. Sicuramente l’intento è stato quello di raccontare una storia del mondo di Watchmen e non legata alle trame dei Minuteman, ma in questo modo il distacco è diventato tale da far dimenticare ogni tanto che in quel mondo sono vissuti alcuni vigilantes che, già all’epoca, spiccavano per caratterizzazione fisica e psicologica.

Il giusto mezzo

In tutto ciò Watchmen è una serie tv che nei primi 6 episodi (che abbiamo visto per recensirla) riesce a giocare con tecnica e narrazione in modo eccelso, così da invogliare alla visione di queste puntate da circa 1 ora. Come tutte le serie moderne, la prima puntata non cerca di raccogliere ogni singolo elemento dello show (come invece fanno le serie tv procedurali) ma è incipit di una trama che necessita di essere scoperta andando avanti: per questo consigliamo di non fermarsi alla prima puntata, ma come successo con il Trono di Spade o Westworld, dovete andare avanti. Gli attori comunque portano a schermo personaggi ben strutturati, e le prove recitative reggono il passo con gli alti standard di HBO; un gioco di luci, una valanga di easter egg non invasivi e quelle scritte gialle che compaiono ad annunciare l’episodio sono solo la ciliegina sulla torta. Forse potevano anche evitare di toccare Watchmen, in quanto la serie tv vive di sua fiamma, ma alla fine averla in un mondo che molti non visitavano da decenni non può far altro che piacere. D’altronde, niente finisce. Niente ha mai fine.

Watchmen

8.5

Prendendo l'universo di Watchmen e inserendoci all'interno, dopo 30 anni, una nuova storia abbastanza slegata, HBO e Lindelof fanno un egregio lavoro. Forse non piacerà a molti fan originali, ma il modo in cui il tutto si collega non è citazionistico, bensì punta a sfruttare quei capisaldi per farli diventare ambientazione, dove i nuovi personaggi e le nuove vicende si muovono agilmente e con stile.

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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