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Blade Runner 2049 Recensione

Dopo così tanti anni, torna al cinema uno dei principi della fantascienza, un titolo capace ci muovere le masse ma anche in grado di far tremare le ginocchia dei vecchi appassionati come chi vi scrive. Blade Runner 2049 è l’ultima fatica di Denis Villeneuve, che dopo lavori ispirati come Arrival, Sicario e Prisoners, tocca un titolo davvero importante per più di una generazione. La responsabilità che il regista canadese si è preso sulle spalle non è affatto una barzelletta, così come lui stesso ci ha fatto notare all’anteprima romana, toccare un titolo così importante e carico di premesse non è per tutti: ecco cosa è successo nella sua pellicola, al netto di spoiler e rivelazioni.

Un Futuro Sporco e Nero

Siamo nel 2049, i replicanti di vecchia generazione sono stati banditi e vengono ancora cacciati dai Blade Runner. Oggi esistono replicanti del tutto nuovi, pensati per essere sempre al servizio del genere umano che rappresenta ancora la specie dominante di quello che è un mondo sporco, pieno di polvere e con pioggia quasi perenne. Nei panni dell’agente K, indagheremo circa diversi misteri che per dovere etico non vi scrivo, vi basti sapere che dubbi e azione non mancheranno. Quello che sicuramente posso dirvi è che la trama non delude circa il ritmo di scrittura e l’enfasi che viene data a ogni gesto, a ogni oggetto ritrovato e a ogni scena: K vi guiderà infatti in un mondo buio, a tratti terrificante e poco sicuro per chiunque. Nel 2049 le auto volano, le persone sono il più delle volte cattive con gli altri e la Atari sembra essere la console di riferimento per quella generazione, data la quantità di pubblicità presente nel film. Sembra anche che a farla da padrone siano i droni, ovviamente anni luce avanti ai modelli che si possono trovare oggi in commercio. Questi sono infatti dotati di telecamere ultra sofisticate, sistemi di riconoscimento vocale, armi e chi più ne ha più ne metta, e sembra che quasi tutti i protagonisti ne abbiano uno o più a seguirli come un’ombra.

Tra Presente e Passato

Ryan Gosling è davvero perfetto per il ruolo dell’agente K: è calmo, pacato e dal suo viso difficilmente traspare un emozione. Lo stesso non si può dire di Ana de Armas, la co-protagonista che “veste” i panni di un’intelligenza artificiale di nome Joy. Harrison Ford d’altro canto è impeccabile come sempre: arrabbiato e in lotta con il suo passato, interpreta il personaggio di Deckard, che ha molto da dire e poco da essere recriminato. Un applauso va fatto anche anche all’interpretazione di Jared Leto che veste i panni dell’emblematico multi-miliardario Neander Wallace, cieco ma con la possibilità di vedere grazie a delle telecamere mobili che porta sempre con sé. Il ritmo del film è perfetto anche se pesca spesso scene e inquadrature del passato, sembra come se il tempo si fosse fermato e il regista fosse davvero rimasto a quasi trenta anni fa. Ammetto che è davvero difficile scrivere di un film senza toccare la trama neanche minimamente: vi basti pensare che ogni scena contiene, nel suo piccolo, un tassello di informazioni che un occhio attento potrebbe cogliere per svelare in anticipo il mistero che va via via a dipanarsi dinnanzi ai propri occhi.

Un Amaro Sapore

Se da un lato Blade Runner 2049 risulta essere un film che sfiora la perfezione per scene, fotografia, colonna sonora impeccabile e recitazione davvero di alto livello, complici anche dei dialoghi sapientemente scritti, dall’altro lato stronca sé stesso verso il finale: sembra come se di punto in bianco scrittori e regista abbiano tirato il freno a mano. Il film è un crescendo di informazioni, descrizioni mai banali, tempi perfetti e scene davvero mozzafiato, ma poi di botto tutto si ferma: la sensazione che ci si trova a provare è quella di un coito interrotto con la donna più bella che abbiate mai avuto o, se siete amanti della buona cucina, una cena perfetta ma senza il dolce. La domanda che potreste porvi una volta usciti dalla sala è “perché?”: per quale motivo costruire ad arte un film così bello e poi aver paura di concluderlo a dovere? Tutto questo sconcerta specialmente quando poche settimane fa ho sentito con le mie orecchie lo stesso regista parlare di film “stand alone”, pensato per non avere necessariamente un seguito cosa che, scusate se mi permetto, è oggettivamente impossibile considerando che il finale lascia in sospeso davvero troppe cose. Forse hanno cercato di ricalcare il finale del primo capitolo, ovvero lasciando allo spettatore l’onere di decidere come si sono svolte le cose, oppure hanno semplicemente avuto paura di osare: se così fosse sarebbe davvero un peccato perché, nonostante l’ultima mezz’ora, il film risulta davvero inattaccabile sotto quasi tutti i punti di vista. Forse in futuro potremo assistere all’ennesimo “final cut” in blu-ray con minuti extra o forse con un finale del tutto alternativo; ciò che è certo è che, al netto degli ultimi minuti, il film è un sequel diretto ben pensato, ben girato e divinamente recitato. Resta certamente dell’amaro in bocca, ma in fondo, il mondo nel quale si muovono i protagonisti non è certo fatto di gioia e zucchero. 

Tiziano Sbrozzi
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.

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